Concorso letterario "Racconti di Natale": "Soho, notte di Natale", di Francesco Franceschini

"Soho, notte di Natale" di Francesco Franceschini

Santa Claus entrò in cucina dalla finestra al piano terra.
Si muoveva circospetto, col vestito color fuliggine, la barba di cotone, il cappello da nostromo in testa, i guanti rossi. Era passata da poco l’ora di cena. Le case fatiscenti di Soho si stringevano l’un l’altra tremando per il gran freddo; sembravano giganti fragili, sorpresi dall’inverno.
La nebbia per le strade intirizziva i passanti e nascondeva, in agguato, gli assassini.
Santa Claus si fece avanti nella cucina. Sopra il tavolo, piatti accatastati, ben puliti; una lunga fila di bicchieri scompagnati, perché scolassero a dovere, era stata capovolta; nei paraggi nessun avanzo di cibo: tutto, fino all’ultima briciola di pane, era di certo stato spazzato via con voracità, come per una fame antica.
Santa Claus si aggirò nella stanza stando ben attento a non far rumore: temeva che la governante potesse tornare da un momento all’altro.
Uscì dalla cucina e imboccò un corridoio stretto e lungo. Sulla sinistra vide una porta chiusa sotto la quale filtrava una luce giallognola.
L’uomo accostò l’orecchio alla porta e rimase in ascolto. Dall’altra parte voci di bambini si alternavano a quella grave di un adulto. Parlavano in italiano, per cui Santa Claus afferrò poche parole, come un libro letto quando muori di sonno.
La voce da adulto parlava variando il ritmo: ora veloce e a strappi, ora più rilassato, cadenzato, quasi sillabando. Le voci dei bambini erano in sottofondo, più stridule, impastate al rumore legnoso delle matite sopra i fogli. Si sentivano parole come Congiuntivo, Condizionale, Imperativo. Tempi semplici, tempi composti.
Poi la voce adulta disse: “Coniughiamo il verbo essere. Congiuntivo imperfetto”, e dietro un coro titubante di che io fossi, che tu fossi, che egli fosse
Babbo Natale sorrise e si acquattò nell’ombra del corridoio.
Passarono alcuni minuti, le voci dalla stanza chiusa si indebolivano, qualche rumore di banco spostato, di sedia trascinata.
Finché la voce adulta disse forte: “Per stasera abbiamo finito. Buon Natale ragazzi. Domattina scarterete i vostri regali. Ora andate a dormire”.
Babbo Natale tornò in cucina e si sedette su una sedia di paglia accanto al camino spento. Non c’era legna, per poter accendere il fuoco.
Era assorto, non sentì quei passi avvicinarsi.
La voce grave lo fece trasalire:
“Ehi! E voi chi diavolo siete? Come siete entrato?”
“Buonasera Maestro” disse Santa Claus.
“Mi conoscete?”
Santa Claus si liberò della barba posticcia, mostrando un viso conosciuto.
“Charles! Dannazione! Mi avete fatto prendere un colpo”.
“Perdonatemi Maestro: un po’ di teatro. È la notte più adatta”.
“Come vi siete conciato?”
“Come era necessario per recapitarvi questa” e gli porse una busta di carta ben imbottita. “Fatene buon uso; oh, perdonatemi: d’altro canto sono certo che sarà così”.
Giuseppe Mazzini aprì la busta, tirò fuori le banconote, le contò: trecento sterline. Rimase in silenzio per qualche istante, poi “Siete una brava persona Dickens – disse. - Non vi dirò che non dovevate. Ne abbiamo davvero bisogno”.
Si abbracciarono e si scambiarono gli auguri.
“Vi aspetto per il pranzo, domani. All’una in punto. Non mancate”, fece Dickens divincolandosi.
“Non so se è il caso”.
“Poche storie, prendete una carrozza e fatevi portare al 48 di Daughty Street. Sarà mia premura pagare la corsa al vetturino”.
“Se insistete…”
“Insisto, maestro Giuseppe. Senza di voi quei monelli sarebbero in mezzo a una strada”
“I figli degli emigranti è come se non esistessero, per i vostri compatrioti, Charles”, sibilò amaro Mazzini.
“Oh, molti dei miei compatrioti, come li chiamate voi, non vedono neanche i figli della regina, se la cosa può consolarvi. Se sono poveri, sono invisibili”.
“Già…”
“Pensate che le cose cambieranno, un giorno? È per questo che si vive, no? Per aggiustare le cose storte…”
“Sono sicuro di sì – disse Mazzini. – Sono sicuro che tra qualche anno nascerà un’umanità nuova”.
“Speriamolo, amico mio. Speriamolo…”
Si abbracciarono ancora, scambiarono poche altre parole.
Alla fine Santa Claus uscì dalla finestra per cui era entrato.
“Finiamo la recita coerentemente” -  scherzò.
Una carrozza lo aspettava nel buio della notte.

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