Concorso letterario "Racconti di Natale": "L'inafferrabile magia di universi sotterranei e paralleli senza tempo", di Vincenzo Sottile

"L'INAFFERABILE MAGIA DI UNIVERSI SOTTERRANEI E PARALLELI SENZA TEMPO" di Vincenzo Sottile

Come ogni anno, il Natale si affaccia prepotentemente alle porte e coinvolge la sterminata platea di persone che vivono nel nostro pianeta con tutti i suoi strascichi di gioie e inevitabili obblighi che ogni ricorrenza da festeggiare in collettività inevitabilmente comporta.
Non ho mai avuto nessuna remora di sostenere con amici e conoscenti che detesto questo particolare periodo dell’anno proprio per l’enorme sfoggio di decorazioni e di volantini ricolmi di offerte speciali, in particolar modo nel settore dei giocattoli. Mia moglie Dora, a questo proposito, è molto meno rigida di quanto sia io nel sostenere le mie tesi e, spesso e volentieri, pur senza giungere a dei veri e propri scontri, abbiamo avuto delle discussioni molto accese.
Io, però, da buon Capricorno come sono, sono testardo e non cambio opinione molto facilmente. Non che creda entusiasticamente nella magica influenza degli astri sulla nostra vita, ma non mi sento neanche di escludere completamente che non ci sia nessuna connessione fra costellazioni zodiacali e carattere dei singoli individui.
L’idea potrà fare sorridere ma sarò padrone di avere delle opinioni, per bislacche che possano apparire! Oppure no?
Ad ogni modo sono sempre più convinto che il consumismo si sia insinuato in maniera sempre più subdola in una festa che dovrebbe evocare delle emozioni tutt’altro che materiali.
So già cosa starà pensando chi leggerà queste mie brevi righe: «Perché andare a complicarsi l’esistenza in questo modo? In fondo, viviamo tutti i santi giorni in una valle di

lacrime e dobbiamo fare gli equilibristi per aggirare i mille ostacoli che incontriamo sul nostro cammino. Vale la pena di farci sangue acido e di sciupare le poche gioie che la vita ci riserva? Filosofia forse spiccia ma che si adatta perfettamente al pesante clima psicologico di oggi dove quello che conta non è più l’essere in un determinato modo quanto riuscire ad “apparire” il più possibile.»
D’altronde, come si può dare del tutto torto a chi cerca di affrontare la vita in modo più superficiale? Come ho già asserito precedentemente, le strade sono piene di gente trafelata e con le mani cariche a dismisura di pacchi e sacchetti. Sembra sempre che tutti vadano di corsa come se la vita gli sfuggisse di mano ma, in realtà, balza agli occhi di qualunque osservatore che non sia proprio distratto che nessuno sembra avere un’aria molto felice.
Giunti a questo punto della mia infinitesimale storia temo che dovrò effettuare qualche breve digressione che serva a farvi comprendere poi meglio l’incredibile vicenda di cui sono stato protagonista insieme alla mia cara moglie e ai mie due pargoletti, Alberto di nove anni e Lorena di quattro e mezzo. In particolare, durante l’evoluzione del racconto, Alberto, senza sminuire assolutamente la madre e la sorella, assumerà un ruolo sempre più preponderante all’interno di questa clamorosa vicenda che io definirei senza nessun tipo di scrupolo “magica”, malgrado l’inevitabile scetticismo che incontrerò in ampie frange di chi avrà la pazienza di degustare o, comunque, sopportare l’intreccio di questa nostra incredibile avventura.
Mi chiamo Massimo Benetti, ho 46 anni ed insegno filosofia in un noto liceo della capitale. Mia moglie Dora, invece, lavora presso un’agenzia di viaggi gestita da una coppia di nostri amici, Sonia e Ottavio, anche se ultimamente lei ha diradato il tempo della sua collaborazione alle sole ore antimeridiane, sostenendo che di pomeriggio, almeno per qualche anno, preferisce dedicarsi a tempo pieno all’educazione e alla cura dei nostri splendidi figli. Sono molto attaccato alla mia famiglia ed anche questa mia asserzione potrebbe rasentare la banalità più sconvolgente ma non vi ho ancora detto che sono rimasto orfano quasi subito dopo il mio matrimonio perché i miei genitori sono deceduti in seguito a un bruttissimo incidente stradale. Viviamo a Roma, nel quartiere di Prati Fiscali, in un appartamento più che confortevole composto da un soggiorno, una stanza da letto, due camerette per i nostri bambini e un piccolo giardinetto per il nostro amato beagle che si chiama Tom. Certo, le camere dei bambini non sono molto capienti ma è già un miracolo, con la crisi degli alloggi che impera un po' dappertutto, essere riusciti a comprare casa con un mutuo trentennale e a condizioni abbastanza decenti.
Dora è una splendida quarantacinquenne che non ha risentito molto dell’influsso quasi demoniaco che il tempo opera sulle fattezze di ciascuno di noi.

Appena può si dedica in maniera quasi maniacale alla cura del suo splendido corpo, frequentando una palestra vicino casa: è anche un’igienista convinta e non sgarra assolutamente con cibi, bevande alcoliche e sigarette. Ricordo sempre i suoi meravigliosi capelli biondo platino ed i suoi splendidi occhi verdi che esprimevano tanta dolcezza ma sapevano fulminare con degli sguardi taglienti i suoi interlocutori, quando qualsiasi cosa non le andava a genio. E rammento nei minimi particolari, come fosse ieri, quando, fissandomi dritto negli occhi e senza sbattere minimamente ciglio, mi disse con una voce arrochita dal troppo fumo e con un tono che solo lei sapeva rendere ancor più metallico e quasi pauroso all’occorrenza: «Ho deciso e non tornerò indietro. Appena nascerà Alberto, troncherò definitivamente con le sigarette.» Mancavano ancora due mesi alla data presunta del parto.
In quel particolare frangente, avevo cercato di sdrammatizzare l’atmosfera, uscendomene con una frase che, senza nessun dubbio, era di una banalità sconcertante, ma che si adattava perfettamente al contesto di quella particolare situazione che stavamo vivendo:
«Ma ce la farai, tesoro? Se proprio vogliamo sottilizzare, avresti già dovuto smettere dal momento che sei rimasta in stato interessante. Non penso che sia una cosa così semplice anche se io non faccio testo perché non ho mai fumato in vita mia.»
Dora, però, non mi diede spago e continuò a ripetere quella frase che assumeva sempre più quasi il tono di una triste litania: «Ce la farò, vedrai!». Probabilmente, più che convincere me, voleva convincere se stessa. Del resto, lei apparteneva a una famiglia di fumatori accaniti perché sia il padre Gualtiero, generale in pensione, che la madre Orietta, casalinga, erano assuefatti al vizio da lunga data e non erano in grado di costituire un fulgido esempio per la loro unica figlia.
Oggi, purtroppo, il signor Gualtiero è già venuto a mancare da due anni e proprio per un tumore polmonare, mentre ultimamente la signora Orietta ci sta dando parecchi grattacapi perché siamo in pensiero per la sua salute, ma di questo tornerò a parlare in seguito.
Per tornare a me ho un viso molto allungato, capelli di un color nero corvino e un paio di occhi color nocciola che mia moglie definisce scherzosamente di un vispo penetrante.
Anche per la cosiddetta “gestione” dei nostri figli, come ama definirla in maniera burlona Dora, sembra quasi che ci siamo messi d’accordo a tavolino. Alberto, il maggiore, è la mia copia stampata, sia dal punto di vista fisico che caratteriale, mentre Lorena è molto vicina alla madre come modo di essere in quasi tutte le sue manifestazioni: unica piccola differenza è che non ha gli stessi capelli biondo platino della madre ma il suo colore, sempre sul biondiccio, si sta avvicinando sempre più a quello della nonna che in gioventù era biondissima ma di una tonalità molto più scura.
A volte io e Dora scherziamo anche su questo ma, nell’istante in cui l’atmosfera dovrebbe alleggerirsi per cedere il passo a una ragionevole pacatezza, colgo, sia pur in maniera fuggevole, un lampo oscuro negli occhi della mia dolce metà.
«Che cosa c’è, amore?», le dico, sforzandomi di rendere il tono della mia voce il meno stridulo possibile. «Ho detto qualcosa di male? Tutto sommato, non mi sembra ci sia niente di criminale se la nostra bambina abbia preso qualche piccola caratteristica somatica da sua nonna.»
«Spero solo che non riprenda anche gli aspetti coriacei del carattere di mia madre», risponde bruscamente Dora. «Non che io sia molto più accomodante ma, perlomeno, ogni tanto, tendo a fare un piccolo esame di coscienza per vedere se posso revisionare qualcosa. Lei, invece, è testarda come un mulo. Negli ultimi mesi ha una forte tosse che non mi piace per niente, lamenta dei dolori sempre più persistenti all’addome e non vuole fare dei controlli più accurati. Non so proprio che cosa fare per tentare di convincerla.»
«Chissà da chi avrà preso», insinuo, con un lampo di fugace ironia, ma, avvertendo l’incupirsi del suo sguardo, decido di battere in ritirata e di non avventurarmi più su quel terreno minato. Cambio prudentemente discorso.
«Sai che, ultimamente, il nostro Alberto inizia a preoccuparmi? È sempre nervoso ed insofferente a qualsiasi tipo di regola o sollecitazione altrui, litiga frequentemente con la sorellina e trascura anche Tom che pende dalle sue labbra da quando era un cucciolo. Ricordi quando fece il diavolo a quattro perché lo prendessimo al canile?» Tom è il nostro beagle di tre anni ed è sempre stato il compagno fedele di scorribande senza fine del nostro Alberto. Solo che, negli ultimi tempi, il nostro piccolo uomo mostra segni di insofferenza anche nei suoi confronti e rifiuta di giocare con lui. In una circostanza che preferirei non ricordare, mentre il nostro dolce cagnolino gli scodinzolava intorno per tentare di convincerlo a giocare, lo ha allontanato in maniera abbastanza brutale con una pedata. È stato un brutto momento per tutta la famiglia perché Tom si è ritirato in un angolo ed ha cominciato a guaire disperatamente, mentre io, che ho sempre aborrito le maniere forti, reputandole poco educative, ho perso la pazienza e gli ho dato un violento ceffone, urlandogli in pieno viso: «Ma cos’hai? La segatura al posto del cervello? Io e mamma non ti abbiamo forse insegnato che ci vuole profondo rispetto per tutti gli esseri viventi? In fondo, cosa ti ha fatto quel povero animaletto che ti adora da quando l’abbiamo preso al canile? Desidera solo un po’ d’affetto! Tutti abbiamo necessità di affetto e di percepire intorno a noi correnti benefiche di calore umano. E tu lo ripaghi così dopo tutto l’amore che ti ha dato! Tua madre dice che non devo esagerare perché hai solo nove anni e non sei pienamente maturo. Ma su questo, sono d’accordo solo fino a un certo punto. Quest’ultimo periodo ho visto Tom sempre più mogio e non lo dico per rattristarti o per metterti paura. Sai che si può’ morire anche di dolore e di solitudine quando sentiamo che intorno a noi nessuno ci vuole bene? E adesso non venirmi a fare delle lacrime di coccodrillo. Non è sano chiudere la stalla quando sono già fuggiti i buoi. L’amore e l’affetto si dimostrano durante la vita delle persone e degli animali. Dopo, il funerale, è solo una mera rappresentazione di facciata. Io e la mamma possiamo provare a darti una mano per seguire Tom. Ma te ne devi interessare anche tu, trasmettendogli gioia e calore. Altrimenti morirà e non ti prenderò un altro cane. Non è giusto trattare qualunque essere vivente come se fosse un oggetto. Questo Natale hai chiesto il robot spaziale, il treno a vapore e i dinosauri. Non ti verrò a fare il solito discorso che ai miei tempi noi ricevevamo pochi regali perché non c’erano molti mezzi economici come adesso, in quanto sarebbe stupido e crudele. Però una piccola riflessione sul fatto che siete tutti pieni di doni ma non riuscite ad apprezzare nulla, inizierei a farla.»
Alberto ha il visetto rigato di lacrime e non riesce a contenersi. Mi sento in colpa perché, per la prima volta in vita mia, l’ho picchiato ed avevo giurato a me stesso che non avrei mai usato con i miei figli questi metodi coercitivi. Mia moglie dice che sono estremamente sensibile e che, a volte, il troppo storpia. «Mi rendo perfettamente conto», dice, «che non è semplice modificare la propria indole ma, in determinate situazioni, è sbagliato farsi vedere troppo morbidi dai propri figli e non mostrare il pugno di ferro. È un po’ come in qualsiasi altra situazione della vita. Se le persone che ci stanno intorno avvertono il morbido finiscono sempre per approfittarsene. Esistono pochi esseri umani che sono disponibili per natura o per altruismo.»
«Proprio una bella filosofia che calza a pennello con il periodo natalizio», rimarco io, tentando di stemperare, come mio solito, l’atmosfera vagamente acre che si è venuta a creare, ma senza molto successo. Vedo Dora che scuote la testa e, arruffandomi di colpo i capelli, mi dice molto dolcemente: «Comunque ti ho sposato anche per la tua calma quasi serafica. Ti sembrerà paradossale ma non sto dicendo un’eresia. Riconosco che a volte mi innervosisco quando osservo quella tua tranquillità quasi olimpionica ma, in altri frangenti, vorrei essere pacata come te e non reagire in quel mio modo, troppo spesso, brusco ed impulsivo. Senza voler tirare in ballo la psicanalisi direi che sei l’altra parte esatta della nostra mela amorosa perché contribuisci a pianificare le indubbie asperità del mio carattere tremendamente spigoloso. O, forse, per esprimere una definizione più esatta, non è erroneo sostenere che ci completiamo a vicenda, incastonando perfettamente i tasselli dei nostri caratteri in modo da formare un mosaico che resiste all’usura del tempo. E questa è già una gran bella cosa. Andiamo a dormire amore? Domani è la vigilia di Natale e siamo indietro con varie incombenze perché dobbiamo ancora finire di comprare i regali per i bambini, vorrei andare dal parrucchiere per darmi una sistemata e, nel primo pomeriggio, desidererei iniziare a preparare il cenone della vigilia. Niente di eccezionale perché quest’anno mi sento particolarmente esausta e sono anche molto preoccupata per mia madre. Dirai che sono esagerata ma, dopo il tumore di papà, vorrei che la smettesse con quelle maledettissime sigarette! Solo che, fra il dire e il fare, c’è sempre di mezzo il mare. Comunque, per ritornare al discorso della vigilia, si vive anche di queste piccole cose. La gente parla di consumismo sfrenato ma poi credo che a tutti faccia piacere vedere luci e decorazioni. Non so! Saranno anche manifestazioni folcloristiche come sostieni tu ma resto dell’idea che una briciola di allegria sia necessaria, anche se poi più o meno tutti ci rendiamo conto che è fittizia. Serve anche a ravvivare il sale delle nostre esistenze quando l’età non è più molto verde e il disincanto è subentrato inevitabilmente, nostro malgrado. E poi lo dobbiamo anche ai nostri figli. Perché rovinargli l’infanzia quando ne avranno di tempo per soffrire e per scoprire le difficoltà del mondo? Strappare a un bambino la sua infanzia è il più grosso crimine che, a mio giudizio, un adulto possa perpetrare. A proposito: prima che me ne dimentichi. Non riesco più a trovare le mie ciabatte di peltro marrone. Mi rendo conto che non dovrei dare tutto questo valore affettivo a un paio di vecchie scarpe ma anch’io non sono immune da debolezze. Ho chiesto ai bambini e mi hanno giurato che non le hanno prese. Ho controllato minuziosamente nelle loro camerette. Mi era anche venuto il dubbio che le avesse prese Tom e le avesse mangiucchiate. Ho guardato anche in giardino nella sua cuccia, ma niente. È veramente una stranezza. Chissà dove possono essere finite. Mistero! Adesso andiamo veramente a dormire che sono stanca e domani sarà una giornata campale. Ci sarà anche da convincere mia madre a venire al cenone. Le ho detto che andrai a prenderla in macchina ma sembra restia. Che pazienza che ci vuole!»
Alberto era un gran furbacchione e non riusciva a prendere sonno per l’attesa dei tanto sospirati regali. Domani sarebbe stato il gran giorno. Era anche vero che, oltre l’attesa spasmodica dei doni, non si sentiva troppo bene per qualcosa che aveva mangiato a cena. Aveva un forte mal di pancia e non riusciva a liberarsi. Aveva anche pensato di andare nel lettone dei suoi genitori ma ormai era grande e sua madre non era più incline all’idea come qualche anno prima. Probabilmente, se avesse detto che aveva dolori di pancia, gli avrebbe fatto una bella tisana e lo avrebbe rispedito a letto con mille raccomandazioni. E poi c’era quell’intrusa di Lorena. Lei riceveva mille attenzioni da parte dei genitori e lui ne era anche molto geloso. Solo che, quando qualche volta aveva tentato timidamente di protestare, la mamma gli aveva risposto senza mezzi termini: «Lorena è ancora piccola ed ha bisogno di più attenzioni. Tu sei già un ometto e dovresti aiutare me e papà a curarla e proteggerla perché hai cinque anni in più.» A volte non sentiva più quello che la madre gli diceva perché non la sopportava. E poi che mocciosa era quella bambinetta di quattro anni. Non poteva mica starle sempre appresso e sua madre avrebbe dovuto comprendere che anche lui era ancora un bambino ed aveva bisogno di svago. Solo che era sempre come andare contro un muro di gomma. Anche suo papà era buono ma era spesso fuori di casa per lavoro e, poi, quando la sera tornava a casa, era sempre tanto stanco che articolava poche parole a tozzi e bocconi. Però, che cavolo! Quando a scuola prendeva un bel voto e lo diceva, i genitori gli dicevano distrattamente bravo e poi ritornavano a vezzeggiare Lorena. Lorena, Lorena e sempre Lorena. Sembrava che l’intero universo ruotasse intorno a lei. Era talmente arrabbiato con quella smorfiosetta che una volta, a scuola, lui, solitamente così tranquillo, si era accapigliato con una compagna di classe per futili motivi e solo perché anche lei si chiamava Lorena! Aveva la nausea di sentire pronunciare quel nome. Inoltre c’era stata la faccenda di Tom e di quella pedata che gli aveva dato. In cuor suo riconosceva di avere esagerato ma dentro di sé sentiva una strana inquietudine le cui cause non riusciva a decifrare fino in fondo. In principio aveva pensato che tutto si potesse ricondurre al discorso di Lorena ma, con la sua notevole intelligenza, era riuscito poi ad arguire che le ragioni del suo malessere non si potevano ricondurre semplicemente alla sua sorellina: forse, aveva riflettuto, si sentiva solo perché non aveva amici e non per colpa sua. Il palazzo dove vivevano era pieno di persone anziane e non c’erano suoi coetanei. A scuola era andato a qualche festa di compleanno dei suoi compagni di quarta elementare ma tutto era finito lì. Quasi tutti i genitori dei suoi compagni avevano il terrore, con i tempi non proprio felici che si presentavano, di esporre i figli a brutti incontri. Una volta, addirittura, mentre era alla festa di compleanno del suo compagno di banco Flavio, era capitato proprio quel discorso perché il suo amichetto aveva rimarcato davanti a lui che la mamma lo soffocava. «Niente di male», aveva risposto la madre. «Ma siete ancora troppo bambini! Non che a tredici o quattordici anni sarà molto meglio perché noi genitori tremeremo lo stesso, ma perlomeno vi sarete fatti un po’ più grandi e si spera anche un pochino più consapevoli. Avete solo dieci anni! Come potete pretendere di andare in giro da soli e per ore intere? Già tremo quando ritorni a casa da solo e sono solo pochi isolati. Aspetta di crescere un altro po’!»
Niente da fare, dunque. Sembrava che, almeno per ora, il suo destino sarebbe stato quello di rimanere un bambino fondamentalmente solo. Certo che, però, avrebbe dovuto cercare di volere un po’ più di bene a Tom. Lui gli aveva fatto compagnia e non aveva colpa che si trovasse in questo stato psicologico. Sbadigliò e sentì che, sia pur molto lentamente, le sue palpebre stavano appesantendosi e stava scivolando in un dolce dormiveglia. Però, per la prima volta in molti mesi, si sentiva meglio, più sciolto, più leggero...quasi quasi avrebbe desiderato correre subito in giardino, svegliare Tom e giocare con lui a rincorrersi fin quasi allo sfinimento più totale! Ma che idea! Così, magari, la madre, oltre che rimproverarlo, lo avrebbe messo in castigo e non lo avrebbe portato in quel famoso negozio del centro a comprare i regali. Perché lui aveva smesso da almeno un anno di credere a babbo natale. Fino all’anno precedente che aveva coinciso con il suo ottavo compleanno ci aveva creduto ma poi, a scuola, le chiacchiere di alcuni compagni più smaliziati...e di colpo aveva affrontato l’argomento con i suoi genitori. In un primo momento il padre, sempre più morbido ed accomodante, aveva tentato di sminuire l’effetto di quelle parole che il bambino aveva pronunciato quasi con caparbietà. Poi, però, visto che Alberto era inflessibile, aveva ammesso, quasi a mezza bocca, la verità, dicendogli: «È vero, amore, babbo natale non esiste e non esiste neanche la sua slitta con le renne. Però, è importante che tu non ne faccia parola con Lorena perché è ancora troppo piccola e non capirebbe. Non le sciupare il suo bel sogno. Quando avrà la tua età le spiegheremo e capirà. Ma ogni cosa va affrontata a tempo debito. Per i doni possiamo trovare il modo di ingannarla senza spiegarle che li compriamo quando prendiamo anche i tuoi. È ancora ingenua e non ha una percezione ben precisa delle cose. L’importante è farglieli trovare la sera della vigilia sotto l’albero. Aiutaci anche tu!»
«Va bene, papà!», aveva risposto Alberto senza battere ciglio. «Non mi costa niente darvi una mano.»
Adesso le palpebre gli si erano veramente chiuse e sentiva che stava scivolando, quasi fluttuando, in un enorme stagno. Ma lui sapeva nuotare perché aveva già fatto due anni di corsi in piscina ed aveva una discreta preparazione. In fondo lo stagno non era poi così profondo ed esisteva sempre la possibilità di fare il morto a galla quando si desiderava prendere un po’ respiro e riposare qualche secondo.
Gli venne da sorridere. O meglio, dentro di sé sentiva che si agitava una risata strana, squillante, che non riusciva ad articolare compiutamente con le sue corde vocali. Eppure ne aveva una voglia convulsa, quasi spasmodica. Quanto tempo che non si faceva una sana risata. Forse, dopo tutto, era segno che stava, sia pur lentamente, guarendo….ma la risata non voleva saperne di uscire e lui fissava con occhi sbarrati, quasi ipnotizzati, il labile contorno del soffitto che si indovinava in quel locale dove tutte le imposte erano chiuse fino in fondo per non permettere alla luce di filtrare, attraverso le persiane, nella stanza e rendendola, in questo modo, oscura fino al midollo. Anche questa, comunque, una mania della madre. Lui, a volte, aveva tentato di protestare ma era stato subito ridotto al silenzio.
Che buffo risvegliarsi proprio adesso che sembrava avesse preso sonno. Non si rendeva conto di che ora fosse e di quanto avesse dormito ma si sentiva stranamente riposato come non aveva più avuto la sensazione da molto tempo. Però, quelle sagome che sembravano ondeggiare sopra di lui….stava forse impazzendo? Per indole, non era mai stato un bambino molto impressionabile e gli era sempre piaciuto leggere quei racconti quasi fantastici dove, di notte, con il buio più pesto, entravano in gioco presenze invisibili agli occhi degli esseri umani. Molti li chiamavano fantasmi, altri morti viventi, ma questo….i suoi occhi si stavano lentamente abituando alla penombra…..questo però era un’altra cosa. Non era la sagoma di un fantasma che si aggiri, in una casa o in un vecchio maniero dalle torri merlate e in una notte buia e tempestosa, magari con il classico lenzuolo bianco dove ci sono delle incisioni all’altezza degli occhi per permettergli di girare indisturbato fra stanze buie dove risuoni il cupo scricchiolio di mobili antichi e contaminati dai tarli. Non era neanche uno di quegli spiriti maligni che infestano gli incubi notturni di molti individui. Spesso si sosteneva che i bambini fossero gli unici detentori di queste paure ma, probabilmente, la realtà nuda e cruda non era così semplice come si voleva fare apparire…..Ad ogni modo vedeva degli oggetti che volavano ma non era ancora in grado di individuarne compiutamente i contorni.
Ora, però, la curiosità stava facendo capolino e si stava insinuando nelle pieghe della sua ritrosia. Non era mai stato pauroso ma un conto era individuare un bersaglio ben preciso dal quale doversi, eventualmente difendere, e un altro era veleggiare in mare aperto verso l’ignoto.
Improvvisamente si rese conto che non era circondato da un muro oscuro e che….riusciva a vedere…...che sensazione quasi paradisiaca…..però, nel contempo, come non riusciva ad articolare alcun suono, non riusciva nemmeno a scendere dal letto per avvicinarsi a quelle strane cose che sembravano galleggiare in un mare invisibile. Ormai ne era più che sicuro: non si trattava di esseri viventi ma di oggetti.
Che strano, però! Gli sovvenne come un senso di rabbia. Se gli oggetti erano inanimati, come potevano volare in qualche modo? Sicuramente doveva esserci qualche trucco e se l’avesse raccontato in giro avrebbero tutti asserito che gli mancava qualche venerdì! Ma lui non era mai stato squilibrato! Poteva avere tutti i difetti di questo mondo ma aveva sempre ritenuto di riuscire a razionalizzare senza eccessive difficoltà tutti gli eventi della sua pur breve esistenza. Solo che ora questo…...Forse andava oltre i limiti di ogni più fervida immaginazione!
A questo punto tanto valeva cercare di girarsi su un fianco e riprendere a dormire, visto che non riusciva a decifrare l’enigma.
Di colpo, avvertì dentro di sé il suono di una voce dai toni cupi e melodiosi allo stesso tempo. Era quasi come una registrazione in playback ma la cui qualità del suono non subiva alterazioni di sorta e si manteneva molto nitida.
«Buonasera Alberto! O devo dire buonanotte? Non lo so nemmeno io! Ormai siamo a notte inoltrata e non so quanto sia giusto dire anche così! Ad ogni modo, sono delle quisquilie. Come stai? Ho sentito che tratti molto male il tuo cane e la tua sorellina. Mi sembra si chiamino Tom e Lorena, se non erro. Scusami ma non sei l’unico caso che trattiamo e spesso faccio confusione con i nomi.»
«Ma chi sei?», rispose Alberto, quasi in un sibilo. Sentiva il gracchiare della sua voce in una frequenza d’onda molto distante da quella usata per le normali comunicazioni degli esseri umani. Praticamente era come navigare in un universo parallelo con tonalità e regole distinte da quelle che era abituato a conoscere. Improvvisamente comprese che qualunque essere umano si fosse trovato nei paraggi non avrebbe percepito quelle oscure presenze fluttuanti e quel loro linguaggio sintonizzato in mondi lontani anni luce. «Da quello che vedo sei una ciabatta da donna di colore marrone e vedo l’altra ciabatta vicino a te che ti fa compagnia. Ma siete veramente solo due scarpe o esiste qualche altro inghippo? Perché ieri sera stavo male e avevo mangiato più pesante del solito ma una punizione così grande proprio non me la merito. E poi qualsiasi oggetto non parla!»
«Questo lo dici tu, sciocchino di un bambino!», risposero quasi all’unisono le due ciabatte. «Voi esseri siete ancorati a vecchi pensieri, senza considerare che il mondo è sempre in costante evoluzione e che la forza motrice delle sue innumerevoli scoperte future avrà un effetto devastante su molte di quelle che, al giorno d’oggi, noi consideriamo certezze. «Ma, in realtà : Sei così sicuro di quello che dici? Tutti gli esseri viventi hanno un linguaggio che si sviluppa in particolari codici, non percepibili alle altre specie. Anche gli animali parlano ma gli umani non riescono a percepire quello che dicono. E perché noi, che voi, in maniera quasi dispregiativa, definite come cose, non potremmo possedere una nostra forma particolare di comunicare? Non siete solo voi i detentori della sapienza universale!»
«Ma è assurdo!», rispose il bambino. «Non ho mai sentito dire una cosa simile. E dove abitate? Da quello che mi è sembrato di capire vivete la notte e non siete come degli angeli perché l’opinione comune è che ogni angelo appaia con una luce soffusa che si possa percepire solo in maniera incorporea.»
«Vedi, tesoro», rispose la ciabatta destra, con una smorfia e continuando a veleggiare in uno spazio ristretto mentre la sua compagna si lamentava che le toglieva lo spazio visivo, «Stai facendo molta confusione ma proverò a schiarirti le idee. Gli angeli sono creature buone e ogni essere umano ne ha a disposizione uno che vigila sulla sua esistenza cercando di dirottare gli eventi della sua vita verso situazioni in cui si sviluppino situazioni benefiche. Noi abbiamo poteri più limitati rispetto a un qualsiasi angelo perché lui può consigliare ma si dice che potrebbe anche agire mentre noi possiamo solo consigliare….e poi, tirò un altro mezzo sospiro, chi ti dice che gli oggetti siano tutti buoni? È come per gli esseri umani e gli animali. Non si può mai generalizzare e, nell’alternanza senza fine dove il bene ed il male si combattono in una lotta furibonda e feroce, i sentimenti dondolano pericolosamente tanto da fare ondeggiare in maniera sinistra la girandola vorticosa delle nostre azioni che potrebbe definirsi come un’altalena dai mille chiodi infernali.»
«Quindi», rispose Alberto, «Devo dedurre che nessun essere vivente è completamente buono o cattivo e che in noi ondeggiano pericolosamente più nature.»
«E meno male che non hai detto solo due perché avrei pensato subitaneamente che non eri un ragazzo molto intelligente, ma con questa risposta hai dimostrato di possedere un quoziente di intelligenza molto alto e di non essere scivolato nel burrone delle facili risposte!»
«Caspita», incalzò Alberto la cui curiosità non conosceva limiti. «Anche fra di voi ci sono oggetti buoni ed oggetti malvagi!»
«Chiaro come il sole che ci inonda di calore», rispose istantaneamente la ciabatta destra. «A proposito, il mio nome è Equinozio perché dicono che sono dolce e briosa ma anche cupa come quelle giornate d’autunno nelle quali il vostro cuore di umani si incupisce quando vedete le prime foglie gialle scivolare sul selciato dei viali. E questa scioccherella qui, indicò con un gesto quasi svogliato la ciabatta sinistra, si chiama Solstizio. Di lei si dice che abbia un carattere molto più passionale del mio perché è nata in estate ma, come ben sai o dovresti sapere, i solstizi sono due e quello invernale mitiga l’impetuosità e la passionalità di quello estivo.»
«Comunque non mi avete ancora spiegato dove vivete», rispose in maniera sorniona Alberto.
«Oh», rispose molto svogliatamente Equinozio. «Non c’è molto da dire. Possiamo vivere dovunque sottoterra e siamo organizzate in corporazioni. Intendo dire tutte le cose. Per farti capire esiste una corporazione delle scarpe, un’altra dei pantaloni, un’altra ancora delle gonne e così via. Quando veniamo fabbricate nei laboratori riusciamo poi a trovare il modo di svicolare dalle forme visive che vedete voi umani durante le vostre esistenze terrene e a creare una nostra forma autonoma e impalpabile con la quale viviamo nei vari cunicoli terrestri in maniera imperitura nel corso dei tempi. D’altronde, a differenza di voi umani, non siamo soggette alla fame, alla sete, al sonno ed alla morte.»
«Che bella cosa», borbottò Alberto in modo quasi inintelligibile. Non avete nemmeno l’obbligo di andare a scuola e di sopportare quella cretina della mia sorellina che si chiama Lorena.»
«Adesso, ragazzino, non ti mettere a fare il furbetto con noi perché non è proprio aria», rispose Solstizio con un ghigno quasi feroce. Anche noi dobbiamo sopportare le corporazioni degli oggetti cattivi con i quali ci dobbiamo, spesso e volentieri, confrontare. E se perdiamo, veniamo fatte prigioniere per molto tempo.»
«E come combattete? Con quali armi?»
«Ma questo ragazzino è veramente petulante», rispose Equinozio. «Da noi si combatte con armi che non sono quelle terrestri e sono collegate con gli influssi benefici della mente. Solo che, a volte, molti cervelli sono dirottati verso il male e noi che siamo buone rimaniamo confinate in minoranza. Ma non chiedermi altro perché giuro che mi metto ad urlare. Piuttosto ho un messaggio di tuo nonno nel quale si raccomanda caldamente che trasmetti domani mattina le sue parole ai tuoi genitori perché riguarda la tua cara nonna. Dice che è molto malata, ha già fatto dei controlli medici e le hanno riscontrato una macchia nera sul polmone destro. Da quello che ho capito vuole tenere nascosto tutto a tuo padre perché non desidera approfondire gli esami per paura di quello che ne potrà scaturire e del fatto che potrebbe essere costretta a ricoverarsi in ospedale per parecchi giorni. Mi prometti che lo riferirai? È molto importante. A casa sua, in un cassetto del mobile bar che si trova in soggiorno, ci sono i risultati del primo controllo che ha fatto con quel maledetto referto medico. Se tuo padre non ci crede può constatare di persona. Non so come potreste fare. Magari tua madre, domani pomeriggio, con la scusa dei regali, può provare a fare uscire tua nonna e tuo padre, nel frattempo, agire. Tuo nonno mi ha detto che il genero possiede una chiave di casa per ogni evenienza. Non dovrebbe essere un’impresa impossibile.»
«Ci proverò», sorrise Alberto con una smorfia quasi malinconica. «Quindi non morite. Ma come fate a comunicare con i membri di altre corporazioni che vivono anche distante da dove siete voi?»
«Non dimenticare che siamo in grado di volare per molti chilometri come gli uccelli. Solo che noi siamo invisibili al vostro occhio di umani e non mi stancherò mai di ripetere che è un grosso vantaggio. In fondo alcuni umani sono anche simpatici ma presi sempre a piccole dosi. Io sono più gentile ma Solstizio che è più irruenta sostiene che gli umani vadano assorbiti solo con il contagocce. Quindi immagina la stima che possiamo avere nei vostri confronti. Comunque tu non sei poi così male. Vuoi vedere un attimo la sagoma di tuo nonno? Non dimenticare che con i nostri poteri possiamo farti percepire la sua voce ed intravedere il suo volto.»
«Vi prego», disse Alberto e, d’improvviso, due lacrime scesero lentamente su quel suo bel visino tanto furbo ma anche parecchio sbigottito per le emozioni di quella notte. Poi, di colpo, percepì la stupenda voce baritonale di nonno Gualtiero e intravide i contorni sfocati del suo viso come se stessero emergendo dai negativi di una vecchia fotografia appena sviluppata.
«Oh, nonno, disse Alberto. Ti voglio bene.»
«Anch’io te ne voglio tanto, rispose il nonno commosso. E mi raccomando. Insisti con papà sul discorso degli esami clinici di nonna. Io mi sono rovinato con le sigarette ma sono convinto che lei si possa ancora salvare se la malattia si riuscisse a debellare in tempo.»
«Non so, nonno», rispose il bambino, rabbuiato. «Tutto questo strano discorso delle scarpe parlanti. Penseranno che sono completamente matto.»
«E tu provaci lo stesso. Tuo padre non è un uomo cattivo e se ti ha dato quello schiaffo, ieri sera, è per farti capire che devi rispettare Tom e non devi farlo soffrire. Cosa diresti se i tuoi genitori ti dessero improvvisamente una pedata e ti facessero comprendere che non ti vogliono più vedere?»
«Va bene, nonno. Addio.»
«Addio, tesoro», rispose Gualtiero. «E buona fortuna per tutto».
«Oddio, quanto è tardi!», gracchiò nervosamente Equinozio. «Solstizio! È ora che spicchiamo il volo e ritorniamo nei nostri meandri. Buona fortuna, piccoletto. E non dimenticare il messaggio di tuo nonno Gualtiero. C’è in gioco la vita di tua nonna. Buona fortuna. Ah! E non picchiare più Tom, mi raccomando.»
E di colpo quel ronzio che Alberto aveva in testa scomparve del tutto. Finalmente si rese conto che il suo corpo non era più intorpidito e che poteva scendere dal letto. Aveva voglia di andare in bagno e di urinare. Indossò le sue ciabattine e di colpo si ricordò il particolare delle ciabatte di sua madre che erano sparite alcuni giorni fa. Non si era mai preso la briga di esaminarle ma ricordava di aver sentito dire che erano di colore marrone. Scacciò quel pensiero con una risatina nervosa. «Eppure, disse quasi a se stesso, cosa ci sarebbe stato di tanto strano se….ma no! Cosa andava a pensare!» In ogni caso, quella era una curiosità che non sarebbe più riuscito a soddisfare. Adesso era veramente ora di andare in bagno. Lentamente i contorni della sua cameretta si fecero meno oscuri e si rese conto che stava albeggiando. Fra qualche ora avrebbe dovuto affrontare l’incredulità dei suoi genitori. «Ho tanta paura», pensò. «Però, ormai, sono in ballo e devo andare avanti fino in fondo, costi quello che costi. Adesso, però basta. Devo riuscire a prendere sonno almeno tre o quattro ore. Domani è un altro giorno e le cose saranno più chiare.»
I contorni delle cose e delle persone non rispecchiano mai la verità profonda che dovrebbe sgorgare dentro ognuno di noi e che, quasi sempre, fluttua in un gorgo inestricabile di pensieri strani e sconnessi, spesso confusi dal terrore di intravedere realtà sgradevoli che desideriamo ignorare per comodità o per paura.
E anch’io non faccio eccezione. Quando questa mattina, il giorno della vigilia di Natale, nostro figlio maggiore Alberto ha fatto a me e a mia moglie uno strano racconto di ciabattine marroni che, nel buio della sua stanza, fluttuavano nervosamente, quasi volando e narrandogli di universi sotterranei dove gli oggetti sono riuniti in corporazioni ed espletano funzioni benefiche, ho pensato che il nostro povero bambino non era più nel pieno delle sue facoltà mentali.
Con Dora ci siamo guardati in viso e lei, quasi sempre così razionale e pragmatica, stava per lasciarsi andare a un torrente inesauribile di lacrime.
Paradossalmente, nel suo pigiamino a righe bianconere, Alberto era tranquillo e non batteva ciglio nemmeno quando narrava la storia del nonno e le sue raccomandazioni.
A questo punto, però, Dora mi ha guardato quasi meravigliata ed abbiamo deciso istantaneamente di provare a verificare la veridicità delle asserzioni di Alberto. In fondo, se si fosse trovato quel referto medico nel cassetto del mobile di mia suocera, il bambino non poteva essersi inventato tutto. L’universo è pieno di canali inestricabili ed inspiegabili….
E poi, nel pomeriggio, la grande rivelazione. Tutto è andato come avevamo pianificato e sono entrato in casa di mia suocera con il mio bambino. Dora ha trascinato la madre a fare compere per la nipotina mentre io, più tardi, mi sarei recato in centro per acquistare i regali di Alberto. Ho girato con mano tremante la chiave che apriva quel mobile ed eccolo lì! L’oggetto incriminato di cui si era tanto parlato. Ho abbracciato fin quasi a stritolarlo Alberto, tanto che, ad un certo punto, soffiando ripetutamente con il naso, mi ha detto:
«Papà, ti prego! Ti voglio bene ma stai togliendomi il respiro!»
«Anch’io ti voglio un monte di bene, tesoro! E adesso, andiamo in centro per comprare i tuoi regali!»
E cos’altro volete che dica? Giunto a casa quasi simultaneamente con mia moglie e mia suocera, con una scusa ho preso in disparte Dora e le ho fatto vedere il referto dei primi esami che sua madre ci aveva occultato per paura. Lei stava per mettersi a piangere ma si è contenuta per non allarmare la mamma. E adesso, siamo qui in salotto. Sto cercando di distrarre i miei bambini e di giocare il più possibile con loro per recuperare tutto il tempo perso che non posso utilizzare a loro favore nelle lunghe giornate di lavoro. Dora è in cucina e sta preparando il cenone della vigilia con la collaborazione della sua vecchia mamma che rifiuta categoricamente di riposare in poltrona e sostiene di volersi rendere utile, visto che a suo dire, l’abbiamo praticamente coercizzata.
E, comunque, stasera ci sarà da discutere perché dovremo insistere senza troppa violenza ma, in ogni caso, con tanta fermezza. Ne va della vita di questa cara donna.
Ecco, se posso esprimere un mio brevissimo pensiero sul Natale, devo dire che dalla festività natalizia di quest’anno ho imparato a coniare una massima che potrebbe servire a ciascuno di noi, nei lunghi e dolorosi frangenti delle nostre esistenze: niente è in realtà come dovrebbe essere e tutto rimane in bilico, quasi impalpabile in un’eterna altalena di sentimenti contrastanti. Ed anche noi umani fluttuiamo ma possiamo cadere ogni istante. L’importante è afferrarci al braccio dei nostri cari e non perdere mai l’occasione di dialogare con chi amiamo, riannodando i fili di una comunicazione che spesso risulta labile per le incongruenze e le sventure che la vita può riservarci.
Non so come sarà la mia esistenza in futuro ma posso dire con assoluta certezza che quest’anno, al di là di doni, luci e decorazioni, l’intelaiatura della famiglia Benetti si è notevolmente fortificata. E anche se io e mia moglie non abbiamo più avuto il coraggio di riprendere con il nostro bambino il famoso discorso di quelle ciabatte parlanti che fluttuavano e degli oggetti organizzati in corporazioni, benedico mille volte quella notte e quelle scarpe parlanti. In fondo, chi può sostenere di conoscere del tutto l’ineluttabile? Nessun essere vivente si può vantare di possedere l’intera gamma di tutta la sapienza umana. E poi, l’enigma affascinante e irrisolto di interi universi sotterranei che veleggino paralleli in un’atmosfera dove il tempo non esiste più e senza incontrarsi mai, solletica la mia curiosità di uomo oltre che di padre. Che bella sensazione pensare a tutto ciò con un senso di appagamento e non di paura. L’importante, credo, è fare del bene, al di là del mero obiettivo consumistico di questa ricorrenza che dovrebbe essere solo cristiana e che invece è stata trasformata in un gigantesco circo mediatico. Però, quest’anno, almeno noi come famiglia Benetti abbiamo riassaporato il vero valore della festa che consiste nel rielaborare i rapporti umani rendendoli unici e preziosi con trasmissioni di vere ondate di calore e d’amore, trasmesse genuinamente dai nostri cuori. E, desidero aggiungere ardentemente con tutto il mio cuore, che spero questo non rimanga un episodio isolato e si protragga nel corso del tempo. Un affettuoso abbraccio a tutti e un buon Natale, di pace, di gioia, di serenità e d’amore.

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