Concorso letterario "Racconti di Natale": "Non più Natale", di Cristina Biolcati

"NON PIU' NATALE" di Cristina Biolcati

Mancava poco a Natale e, quasi si fosse in un romanzo vittoriano, non c’erano soldi per fare i regali. Beatrice, sei anni, avrebbe anche potuto inventarsi qualcosa. Mattia, quattro, sicuramente no.
Come quella volta che, con la macchinetta della pasta,i bambini si erano messi in testa di stampare delle banconote da consegnare a papà. Mattia aveva detto che l’inchiostro del suo pennarello era magico. Bastava prendere un foglio di carta a quadretti, tagliarlo delle dimensioni di una banconota (vera) e poi disegnarci sopra l’importo. Una stiratina nel marchingegno e il gioco era fatto. Beatrice sapeva che non avrebbe dovuto dargli retta, ma le facce dei suoi genitori erano talmente tirate, in quel periodo, che avrebbe provato di tutto. E invece, l’esperimento era stato un disastro. Il macchinario si era sporcato, diventando antigenico, tanto che la mamma aveva dovuto pulirlo con l’alcol. E per poco non avevano bruciato il motore, che sarebbe stato grave.
Così Beatrice aveva esposto la sua, d’idea, all’apparenza geniale. Lo zio Rino era il fratello di papà e aveva una fotocopiatrice. Quell’“affare”moltiplicava le cose. Fosse riuscita a farlo funzionare, avrebbe potuto ripetere l’azione all’infinito. Beatrice però aveva premuto il bottone troppo presto e Mattia si era procurato una bella bruciatura alla mano.
Il bimbo sopportava bene il dolore. Anche quando la mamma gli dava uno schiaffo, dicendo che era tutta colpa sua quello che succedeva in casa. Anche quando papà lo strattonava, per la strada, perché aveva fretta. Lui mai che si lamentasse. Anzi, i suoi occhi azzurri e il suo sorriso erano la loro punizione.
Da quando papà era stato licenziato, giù alla fabbrica, passava le giornate in cerca di un nuovo impiego. Ma i colloqui non andavano mai bene. Troppo vecchio; troppo qualificato; troppo poca esperienza per cambiare settore. Papà tornava a casa, la sera, che sembrava un cane bastonato.
Un tempo, loro due, Beatrice e Mattia, avevano dei bei vestiti. Dei bei giocattoli. Papà li portava al cinema, il sabato pomeriggio, a vedere i cartoni. Si sedevano stretti, sulle poltroncine di velluto, mangiando popcorn. Poi, tutto era cambiato.
Un bel giorno,però, la mamma era tornata a casa con una scatolina di cartone. Si era chiusa in camera con fare misterioso, appena papà era uscito. Beatrice l’aveva vista da uno stipite della porta che non chiudeva bene. L’involucro conteneva un semplice cellulare, come quello che aveva papà. La bambina l’aveva sentita parlare con Betta, la sua amica. Diceva che no, non era pazza. Che Roberto non lo avrebbe mai saputo e che, una volta avuto i soldi, avrebbe pensato a come giustificarsi con lui. Mica le facevano pagare la bolletta, quelli! Okay, va bene, il lavoro era duro. Tutti vecchi bavosi e pervertiti in cerca di emozioni, perògente con la carta di credito. Roberto era sempre fuori, e lei avrebbe saputo gestirsi. E che la smettesse di criticare, Betta! Le facevano schifo, per caso, ottocento euro al mese?
Ansimava, la mamma, mentre sedeva in vestaglia, coi bigodini in testa e si dava lo smalto. In quel coso, diceva parole brutte, senza senso. Come fosse tornata bambina, ma più civettuola. A Beatrice faceva paura, quando lei “lavorava”, e così cercava di portare Mattia a giocare in cortile o nella loro cameretta.
Non era neanche passata una settimana che, una domenica mattina,squillò il cellulare di papà, appoggiato sul tavolo della cucina. Lui stava aprendo una bottiglia di vino e la mamma stava scolando la pasta, per il pranzo. Beatrice metteva i tovaglioli.Mattia era il più vicino e fu rapido a rispondere.
«Ah sì, birichino. Parla più forte, che così mi fai godere. Dimmi che sono la tua porca. Avanti, dillo! Toccati, dai! Ah sì, sì, così. Che mi piace.».
Nella stanza cadde il gelo. Era lo zio Rino, che voleva papà. Ma quella vocetta aveva scavato nel profondo. Talmente tanto da squarciare la coscienza.

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