Concorso letterario "Racconti di Natale": "Il mio mandorlo", di Domenico Conte

"IL MIO MANDORLO" di Domenico Conte

Ognuno ha il suo specchio, io ho il mio mandorlo.
In autunno la pioggia e il vento fanno cadere le prime foglie, restano le mandorle, quelle che non ho raccolto. Durante un temporale, in aprile, il vento ha staccato un ramo dal tronco ed è caduto ai suoi piedi sulla terra. E’ rimasto solo, da lì ha visto in faccia l'azzurro e il sole che gli brucia la linfa.
Primavera. Sul mandorlo sono esplosi colori e sbocciati i fiori. Fieri, hanno guardato il sole ma non hanno visto il ramo sofferente. Poi sono spuntate le prime foglie. I fiori hanno perso i petali ed è cominciata la metamorfosi. Ogni fiore un frutto, tanti quanti ne poteva alimentare l'albero.
Sul tronco, la ferita del distacco, ha ancora la forma di cuore trafitto e qualcuno ci ha inciso due iniziali. Passa il tempo, la memoria dell'albero vive come la ferita che mi brucia dentro, sento la separazione dal mio ramo, ma nessuno può incidere altre iniziali su di me.
Il mio mandorlo ha visto nascere amori, ha assistito ai baci ed è stato testimone di promesse d'amore eterno, scambiate con estrema leggerezza, tipica dei giovani amanti.
Non sa di tutti i tagli del mio cuore, quelli non si vedono anche se sono impressi a fuoco. Come il ramo caduto, è solo, immobile, nudo, mentre ogni forma di vita cerca riparo.
Di tanto in tanto, una capinera o un pettirosso si posano sull’arto spezzato per riposarsi dopo un lungo volo o per osservare il terreno circostante, in cerca di qualche insetto ignaro o azzardante.
Una mattina fredda e trasparente, Titti si aggira nel prato saltellando come una farfalla. Alla vista del ramo si ferma: dal suo viso scompaiono le linee del sorriso, abbassa gli occhi, punta il ramo spezzato e lo raccoglie interessata. Lo solleva verso il cielo, lo muove e lo fotografa con le mani. Decide di portarlo a casa.
Il ramo disorientato vorrebbe urlare “Lasciami qui! Che fai?” ma lei è determinata, non lo sente. Quell'ulteriore distacco, gli fa male da piangere ma non ha più linfa, e nessuna lacrima sgorga. Dopotutto il suo destino era marcire sotto la pioggia al freddo più intenso e accetta il nuovo cammino. A casa, Titti lo immerge in acqua tiepida, lava la terra che ricopre la sua corteccia, lo asciuga, lo stringe, come si fa con chi si conosce da sempre. Il ramo non immagina cosa sarà di lui, ma comincia a sentire meno il suo disagio. Viene interrato in un vaso e sostenuto per tenerlo verticale. “ Bello tornare in posizione vitale!” pensa, anche se continua a vedersi scuro.
Nella stanza, una luce calda illumina mobili e pareti coperte di quadri e brilla sulla grande vetrata. Titti, con un camice giallo pulcino, e atteggiamenti da esperta, sistema il ramo in piedi e comincia a dargli colore. Intinge il pennello nel bianco splendente che striscia leggero tra i rami e cancella ogni traccia di abbandono. Una volta imbiancato Titti lo porta dietro la vetrata e soddisfatta gli parla “Sei contento? Ti ho fatto la neve, ora non sei più triste!” Il ramo, mentre si asciuga al fresco di dicembre, attraverso la finestra aperta, vede il cielo, i campi coperti d'erba, e suo padre.
Da una scatola la bambina tira fuori fili colorati che rivestono i suoi rametti d'oro e lo agghinda a festa con sfere brillanti, oggetti scintillanti e tante luci colorate.
La nuova creatura non capisce ciò che accade ma nella vetrata vede riflessa la sua immagine. “Sei un bellissimo alberello di Natale” esclama Titti a lavoro ultimato quando lo espone fiera sotto gli sguardi di ammirazione di genitori e parenti. Si fermano a guardarlo, e ognuno ha un complimento da rivolgergli. Il ramo ricorda la giovinezza quando aveva le mandorle più grosse nascoste tra le foglie, e la bambina gongola quando il padre le dice “Brava Titti! Tu si che hai capito cos’è la rinascita del Natale !”
Tumulti di vita passata, quando anche i miei fiori erano bianchi e puntinavano l'azzurro, si esaltavano nel verde, accarezzati da soffi di primavera.
Poi, un brutto giorno, un vento maligno mi spezzò un ramo e da allora anch’io mi sento triste e spoglio. E’ arrivato il freddo, e la notte rallenta o ferma la vegetazione. E’ tempo di dormire, di non pensare. Pensavo di essere alla fine ma ho conosciuto strade nuove che non credevo di percorrere. A volte sono felice .
Dura il tempo di un respiro perché nessun innesto può curare l’amputazione. Ma a Natale mi vesto di un’illusione luminosa come una stella. E mi scaldo alla sua luce.

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