Concorso letterario "Racconti di Natale": "Arturo e Joe", di Giovanni Saia

"ARTURO E JOE", di Giovanni Saia

In un futuro nemmeno troppo lontano, in prossimità delle feste natalizie, tutti i bimbi si preparano a vivere un bellissimo periodo colmo di felicità in attesa dei doni che riceveranno.

Le letterine a Babbo Natale sono state spedite in tempo quindi non resta solo che aspettare il Santo giorno quando troveranno sotto l’albero il regalo a lungo sognato.

Luca aspetta con trepidazione il plastico con i trenini; Giorgio la pista con le macchinine di formula uno; Gianni il piccolo tablet con il quale disegnare e imparare divertendosi; Chiara la sua bambola preferita e così via perché tutti sono convinti di essere stati bravi e obbedienti e se hanno fatto qualche marachella saranno sicuramente perdonati dal grande vecchio con la barba bianca vestito di rosso.

Tutti meno che i bambini di un paese vicino alle alte montagne del Nord: un paese molto freddo, isolato e distante dagli altri centri abitati.

Anche loro hanno spedito la loro bella letterina ma tutti hanno un problema molto serio: i giocattoli elettrici non funzionano più da tanto tempo. In un magazzino fuori dal paese sono accatastati tanti piccoli robot, trenini, macchinine, camion e tutto ciò che per muoversi ha bisogno di pile elettriche. Purtroppo il grande macchinario che le ricarica si è guastato e nessuno è in grado di ripararlo. Nemmeno Gigetto, il meccanico del paese, non vi è riuscito perché dice che manca un pezzo e non è possibile trovarlo da nessuna parte.

Il problema è davvero molto grosso: quando si esaurisce la carica della batteria, il giocattolo si ferma per sempre e tante lacrime sgorgano dagli occhi dei bimbi tristi.

Io sono Marco lo spaccalegna (o almeno così mi chiamano i paesani) il padre di Arturo: ancora ricordo con tanto dispiacere la tristezza sul volto di mio figlio quando si accorse che il suo adorato orsacchiotto al quale aveva dato il nome Pongo, si era improvvisamente fermato e non reagiva più a nessuno stimolo. Era il suo giocattolo preferito. Quello che dormiva con lui, che parlava con lui con i movimenti perfetti della bocca, degli occhi e delle orecchie. Quello che giocava con lui muovendo le braccia e le mani per stringerlo forte a se, ma che adesso è fermo e inanimato.

Ricordo che Arturo non parlò più per parecchi giorni. Accompagnarlo al deposito dei giocattoli morti fu un duro colpo per me ma soprattutto per lui.

Noi adulti abbiamo fatto il possibile e l’impossibile per risolvere questo evento drammatico senza ottenere alcuna soluzione. La fabbrica che costruisce il macchinario ricarica pile non esiste più da molto tempo e nessun pezzo di ricambio è disponibile su tutta la Terra facendo cadere Gigetto nella disperazione per non poter aiutare i bambini.

Negli altri Paesi usano le pile al superlitio che possono durare anche 8 anni ma noi, oltre ad abitare in un piccolo borgo, siamo anche poveri e non possiamo permettercele. Noi non abbiamo internet e neanche una linea telefonica: siamo soli e abbandonati da tutti. Come faremo a far gioire i nostri figli oltre il tempo di vita delle batterie?

Il cielo era completamente stellato. Non faceva molto freddo.

Io ero seduto all’aperto su una vecchia poltrona sgualcita e ripensavo a questo dilemma. Ero così assorto nei miei pensieri che non mi accorsi nemmeno dello spettacolo delle stelle cadenti. A dire il vero non ci facevo molto caso perché da queste parti era una avvenimento frequente. Mi parve di seguire una scia di luce che terminava la sua corsa vicino a quella vecchia catapecchia dove tengo gli attrezzi per coltivare la terra. Ma alla cosa non diedi importanza alcuna. Già in passato era successo ed ero andato a vedere senza trovare niente di strano.

Il giorno seguente, nel pomeriggio, con il mio trattore ero andato ad arare un terreno e come sempre mi ero portato dietro Arturo. Che bravo figlio che avevo, davvero non mi dava nessuna preoccupazione né a scuola né nelle faccende domestiche dopo che la mia cara moglie era volata in cielo per una brutta malattia: era proprio un ometto e meritava tutto l’affetto del mondo.

Quando passammo vicino alla piccola casetta in legno sentimmo come un piccolo rumore metallico. Marco scese ed entrò a vedere da cosa poteva provenire.

Che confusione lì dentro. Attrezzi sparsi un po’ dappertutto, tanta ferraglia, casse di legno, scale, teli di plastica e quant’altro: prima o poi avrei dovuto dedicarmi a mettere un po’ in ordine. Un’incudine era caduta da una sedia e probabilmente era stato quello il rumore che avevamo sentito. Nel ritornare verso l’uscio non mi accorsi che il mazzo di chiavi che avevo appeso alla cintura era caduto sul pavimento di assi di legno ed era scivolato in una feritoia.

Tornammo a casa che era già buio e proprio per questo inciampai e mi feci male ad un piede finendo sdraiato per terra.

- “ Papà lascia che ti aiuti “

- “ Grazie figliolo ma non mi sono fatto niente ho solo un po’ di dolore al piede. Per favore prendi le chiavi che entriamo in casa. Sono qua nel mazzo appeso alla cintura”

- “Quale mazzo papà, non lo vedo!” rispose Arturo

- “Allora dove posso averlo perso? Mi sarà mica caduto nel deposito attrezzi? E ora come facciamo che cammino a fatica?”

- “Ci vado io non ti preoccupare. Faccio una corsa e sarò qua in dieci minuti”

- “Ma c’è buio Arturo, prendi la lanterna appesa al gancio e fai attenzione”

- “Fai come se fossi già tornato papà”

Detto questo Arturo prese la lampada volante che emanava una luce fioca e tremolante attraverso i vetri di protezione e corse sparendo nell’oscurità.

Giunto alla casetta in legno entrò dalla porta cigolante chiusa solo da un catenaccio.

Illuminò il pavimento di assi e cominciò a cercare tutto intorno.

Il silenzio era assoluto.

Un luccichio in una feritoia lo attrasse e vi si avvicinò.

Inserì la sua piccola mano e gli sembrò, facendo pressione, di aver schiacciato come un interruttore.

Trovò il mazzo di chiavi poco distante e si riavviò verso l’uscio per fare ritorno a casa.

Una voce metallica risuonò all’improvviso.

- “Ciao”

Arturo si bloccò impaurito: aveva sentito bene?

Dopo pochi attimi:

- “Ciao”

Il bimbo si girò e alzando la lanterna ad altezza viso la rivolse verso il punto da dove proveniva quella voce misteriosa.

Quello che vide gli rimase in memoria per molto tempo. Arturo aveva i grossi occhi sgranati in segno di meraviglia.

Un robot dal colore giallo canarino fosforescente lo stava fissando con occhi quasi umani, il movimento delle labbra, le espressioni del viso lo facevano somigliare ad un bimbo. Aveva una mano con il palmo aperto che oscillava da destra verso sinistra; la testa senza capelli, una mascherina tipo Zorro sugli occhi blu e la bocca con un deciso cenno di sorriso.

- “Ciao io sono Joe e tu come ti chiami?”

- “Mi chiamo Arturo e tu chi sei?”

- “Ciao Arturo sono un prototipo di robot avanzato. Derivo dalla famiglia degli SK4 e stavo facendo un giro di ricognizione sulla Terra, quando per un guasto alla mia navicella ho dovuto fare un atterraggio di emergenza”

- “Non ci posso credere, sei davvero un robot?”

- “Certo che lo sono e anche piuttosto intelligente come dite voi terrestri”

- “Quanto tempo starai sulla Terra?”

Nel momento in cui Joe stava rispondendo, si sentì il rumore di un trattore, dapprima in lontananza poi sempre più vicino. Arturo ancora estasiato dall’incredibile scoperta non si accorse di nulla.

Il portone si spalancò all’improvviso e la figura imponente di suo padre apparve sulla soglia. In mano aveva una torcia che riusciva a rischiarare l’interno del magazzino.

- “Arturo stai bene? Ero in pensiero perché non ti vedevo ritornare, A malapena sono riuscito a mettere in moto il trattore e sono venuto di corsa”

- “Si papà sto bene ma ho fatto una scoperta straordinaria. Guarda con chi sto parlando, indicando con un dito subito dopo che si era voltato”

Marco guardava suo figlio che indicava un pallone da calcio.

- “Ma ti devo portare da un dottore figliolo? Stai veramente parlando con una palla?”

Arturo non sapeva più cosa dire, il robot era scomparso. Al suo posto una palla a scacchi gialli e blu.

- “Vieni andiamo a casa e visto che ti piace tanto, portati dietro anche quella. Le hai trovate le chiavi?”

- “Si” rispose il ragazzino titubante

- “Allora andiamo”.

Salimmo sul trattore e ci indirizzammo verso la via di ritorno. Giunti all’abitazione, dopo aver consumato un frugale pasto, accompagnai a letto Arturo rimboccandogli le coperte e il bimbo si addormentò poco dopo. Gli misi accanto la palla, gli diedi un bacio e chiusi la porta della camera.

La mattina seguente, al risveglio, il bimbo si ritrovò accanto al letto il robot. Soffocò un urlo per non impaurire suo padre e si mise a fissarlo con occhi increduli.

- Ti è piaciuto il mio travestimento in pallone da calcio?

- Ma come hai fatto?

- Te l’avevo detto che ero un prototipo avanzato! Posso trasformarmi in ciò che voglio

- Fantastico, sei proprio forte Joe…………. Ssshhh sento dei passi, deve essere mio papà. Sarà meglio che ti ritrasformi in pallone

Marco si assicurò che il figlio stesse bene, poi lo fece cambiare e lo portò a scuola. Lungo il tragitto, trovando le parole per non allarmarlo, lo informò che il papà del suo amico Luca aveva avvistato in lontananza un grosso animale ma, dopo aver lanciato qualche grugnito, era rientrato nella foresta. Forse si trattava di un orso affamato che si era spinto troppo vicino alle abitazioni.

Nel pomeriggio, rientrato nella sua stanza, Arturo chiese al suo amico robot, che nel frattempo si era trasformato in una pianta di fiori, se poteva aiutare il meccanico del paese ad aggiustare la macchina ricarica batterie. Gli raccontò per filo e per segno il grande dispiacere che lo accomunava agli altri bambini mentre Joe ascoltava attentamente.

Il problema era come presentarsi al cospetto di Gigetto….

Clank Clank, prrss,prss, tum, tum……

Il meccanico stava lavorando su un vecchio motore per trattori, quando vide arrivare in lontananza due ragazzini.

Riconoscendoli, li salutò:

- “Ciao Arturo, ciao Luca”

Entrambi portavano in mano due piccoli robot inanimati. Disse Arturo:

- “Eccone altri due che si sono fermati …….”

- “Mi dispiace davvero, dovrò metterli insieme a tutti gli altri nel deposito dei giocattoli morti”

- “Il mio amico Luca non ha mai visto quella macchina rotta, la ricarica pile, gliela fai vedere Gigetto?”

- “certo, venite è proprio qua dietro”

Girato l’angolo dell’officina, tolse il grande telo che la ricopriva ed ecco cosa apparve:

Soprattutto Luca si dimostrò molto interessato. Volle sapere con esattezza il pezzo mancante e come era fatto.

Il meccanico glielo mostrò ma non si accorse di due piccole lucine che si erano accese negli occhi del ragazzino, proprio come se fossero stati i flash di una macchina fotografica.

Dopo una mezzoretta, i due amici ringraziarono Gigetto e si congedarono.

Giunti a casa, mentre Marco era al lavoro nei campi, il robot smise le sembianze di Luca e si mise a studiare l’oggetto fotografato.

All’improvviso sentirono delle urla provenienti dall’esterno: erano i paesani che avvisavano di aver sentito gridare vicino al bosco nel punto in cui poteva trovarsi suo padre.

Arturo si impaurì e, seguito da uomini adulti, si mise a correre in direzione del bosco.

Videro subito che Marco era in difficoltà: si stava divincolando da un grosso orso che cercava di azzannarlo!

Non sarebbe stato facile salvarlo ma, all’improvviso, apparve un altro orso ancora più grande che ringhiando verso l’altro lo fece scappare a gambe levate.

Tutti rimasero interdetti, ma Arturo, senza dirlo a nessuno pensò che questa era opera del suo amico Joe.

Riportarono Marco a casa parzialmente ferito ma salvo. La trasformazione di Joe in un enorme orso, come aveva giustamente pensato Arturo, era riuscita proprio bene.

Nei giorni seguenti Arturo e Joe diventarono sempre più amici.

La capacità del robot di mimetizzarsi in maniera molto veloce fece in modo che Marco non si accorse mai di nulla riguardo la presenza del nuovo amico del figlio. Anche se cominciò a dubitare per una sua probabile insanità di mente: lo vedeva parlare con palloni, piante di fiori, biciclette, biglie colorate ecc. Pensò che erano disturbi infantili. D’altro canto Arturo si accorgeva della improvvisa presenza di estranei quando il suo lunatico amico si trasformava improvvisamente.

Ogni tanto quando era a casa si incupiva, si soffermava davanti ad una foto che ritraeva la sua adorata mamma e i suoi occhi si riempivano di lacrime: quanto gli voleva bene e quanto gli mancava.

Sentì un rumore proveniente dal suo baule dei ricordi posto in un angolo della stanza. Vi si avvicinò furtivo e distinse chiaramente il suono di un piccolo tambureggiamento sul legno interno alla cassa. Come se ci fosse qualcuno che volesse attirare attenzione.

La scoperchiò e con gran stupore vide Pongo, il suo pupazzo preferito che si agitava, gli rideva e lo voleva abbracciare. Arturo rammentò che non ebbe il coraggio di portarlo al cimitero dei giochi morti quando, esaurite le batterie, gli si era afflosciato tra le mani senza più dare segni di vita.

L’euforia era incontenibile, le lacrime di pianto si trasformarono in lacrime di gioia. Pongo sorrideva, lo accarezzava, muoveva la bocca, lo consolava rendendo sicuramente meno tristi i pensieri del bimbo.

“come hai fatto amico mio a ritornare in vita?. Chi ti ha rimesso batterie nuove?”

Pongo sorrideva ma grande fu la sorpresa di Arturo nel vedere, dietro l’orsetto, il vano delle pile completamente vuoto!. Lo posò con dolcezza sulla cassettiera dove, in alto, campeggiava un grosso specchio circolare. Si diresse verso la finestra perché aveva sentito il rumore del trattore di suo padre ma il riflesso del vetro gli riportò l’immagine del suo amico Joe seduto nello stesso posto dove aveva posato Pongo. I due si abbracciarono a lungo e Arturo lo ringraziò per avergli fatto rivivere momenti felici.

I giorni passarono, il Natale si avvicinava e il freddo, in quel paesino sperduto, si faceva sentire. Marco andò a prendere della legna per il camino nel deposito dove era stato trovato Joe. Vista la confusione, si decise a fare un po’ d’ordine.

Radunò la ferraglia, oggetti non più utilizzati, piccola cianfrusaglia e, caricati sul trattore, li portò alla discarica.

Quando Arturo arrivò a casa, il padre lo mise al corrente del lavoro di pulizia svolto. Poi gli fece vedere una sorpresa….

- “guarda cosa ti ha comprato papà” porgendogli un pacco.

Il bimbo aprì l’involucro tutto eccitato, constatando che il regalo consisteva in un bel pallone da calcio.

- “ti vedevo sempre con quella palla a scacchi gialli e blu e ho pensato di prendertene uno nuovo di zecca”

Arturo trasalì.

- “grazie papà ma del vecchio pallone cosa ne hai fatto?”

- “l’ho messo dentro una cassa e l’ho portato alla discarica insieme alle cose vecchie”

Prendendo come scusa di andarlo a provare con i suoi amici, corse fuori di casa.

Si mise a correre verso la discarica in quanto sapeva che, in un ambiente stretto come una cassa piena, Joe non avrebbe potuto espandersi e allontanarsi. Senza contare che in quel posto bruciano tutto in un grande forno!

Già in lontananza vide il fumo alzarsi verso le nuvole mentre il cuore batteva sempre più forte. Arcibaldo, l’addetto al forno, lo vide arrivare, lo salutò e gli disse di tenersi lontano perché era pericoloso avvicinarsi. Arturo notò che la cassa di suo padre era già sul nastro verso l’inceneritore…..

Doveva pensare subito a una soluzione……

- “Arci, ferma tutto. Mio padre mi ha mandato qui per vedere se riuscivo a recuperare una cosa che erroneamente ha messo in quella cassa!”

- “non è più possibile farlo, figliolo. Il materiale sul nastro, una volta avviato, deve finire la sua corsa nel forno! Potrei staccare la corrente ma l’interruttore è troppo lontano e non arriverei in tempo”

Il sasso caricato sulla fionda di Arturo, finì la sua corsa proprio sulla leva della corrente generale spegnendo l’impianto e fermando tutto.

Si precipitò alla cassa e, aprendola, vide Joe trasformato in una cosa assurda. In pratica il suo corpo aveva riempito tutto il volume disponibile e non si sapeva neanche quale era il davanti e quale il didietro.

Riprese le sembianze di un cacciavite.

- “eccolo, l’ho trovato. Ciao Arci e grazie”

Felice per il pericolo scampato, fece ritorno a casa con Joe trasformato nel pallone regalato dal padre, perfezionandolo con alcune strisce che davano l’impressione di essere stato usato.

Il tempo passò in fretta e un giorno Arturo vide il robot molto triste.

- “Cosa hai amico mio?”

- “Mi è arrivato un messaggio: mi passano a riprendere oggi. Devo tornare alla mia casa”

Il ragazzino scoppiò a piangere disperato

- “Non te ne andare Joe”

- “Devo andare, ma un giorno tornerò a salutarti. Ehi perché perdi acqua dai tuoi occhi, ti senti male?”

- “Sono lacrime Joe, lacrime”

- “Non so cosa siano ma mi piace di più quando ridi. Quando sono caduto dalla navicella praticamente ero morto come dite voi terrestri, ma tu mi hai riattivato schiacciando l’interruttore di emergenza. Se non lo facevi, entro 30 minuti terrestri mi sarei auto disintegrato. Ti devo ringraziare in eterno ma ora devo andare davvero, tu sei un ragazzino buono di animo, ti ricorderò per sempre. Abbi cura di tuo padre che ti vuole molto bene”

Detto questo sparì dalla vista di Arturo.

La notte, per il dispiacere, riuscì a dormire solo qualche ora, ma al risveglio si ritrovò un piccolo pacchettino vicino al guanciale. Sul dorso era scritto: “per Gigetto il meccanico”.

Arturo corse a portarglielo, lo aprirono insieme e videro che era il pezzo mancante della macchina ricarica pile. Lo inserirono subito e, dopo qualche sbuffo di vapore e un po’ di rumori di ingranaggi, la stessa si mise in moto: finalmente era tornata a funzionare!!!

Alla domanda di Gigetto riguardo a dove avesse trovato il pezzo, Arturo rispose che era piovuto dal cielo ma il meccanico era così felice che non fece altre domande.

La festa in paese fu grandissima, addirittura si spararono fuochi d’artificio e si accese un grande falò. Tutto attorno i bimbi con i loro giocattoli a pile che avevano ripreso a funzionare e che avevano fatto ritornare la felicità sui loro volti.

Arturo alzò gli occhi al cielo e gli parve di vedere un robot color giallo canarino che gli faceva ciao con la mano.

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