La recensione dello spettacolo "Regalo di Natale", in scena al Teatro Quirino di Roma fino al 19 maggio

Recensione a cura di Mario Turco

Il teatro e il cinema sono un connubio che quasi tutti gli spettatori culturali hanno avuto modo di sperimentare nella loro dieta multimediale. Anche il poker e il Natale sono un binomio che quasi tutti hanno avuto modo di esperire almeno una volta nella vita. E quando capita che uno dei teatri più attivi di Roma scelga di portare sulle scene la trasposizione di uno dei più noti film italiani sul tema le attese sulla felicità dell'esito artistico si fanno quasi esasperanti. Con "Regalo di Natale", adattato da Sergio Pierattini e diretto da Marcello Cotugno, in replica al Teatro Quirino fino al 19 Maggio, quasi tutte le molteplici suggestioni di un'operazione così interessante trovano piena realizzazione. L'omonimo film di Pupi Avati del 1986 è naturalmente la base di partenza dello spettacolo teatrale. La struttura del soggetto filmico che aveva radi cambi di scena e vedeva al suo centro personaggi maschili ben trattati psicologicamente richiedeva da questo punto di vista ben pochi accorgimenti. In questo "Regalo di Natale" i rapporti tra questi (ex?) quattro amici rimangono, rispetto alla controparte filmica, immutati.

Questa fedeltà all'opera del regista emiliano non si traduce però in immobilismo traspositivo. Innanzitutto la vicenda viene ambientata ai giorni nostri ma i riferimenti al presente non sono mai didascalici. Gli accenni alla crisi economica e alle novità del videopoker detestate da Lele si inseriscono naturalmente nei divertenti dialoghi che senza soluzione di continuità si susseguono in scena. Proprio la maggiore cifra comica della pièce è la principale differenza col film di Avati: quasi tutto il primo atto sembra uno spettacolo stand-alone di Giovanni Esposito, caratterista dal volto noto (ha collaborato anche ai programmi della Gialappa's Band) che nel corso della sua carriera ha avuto una crescita esponenziale che ne ha fatto uno dei migliori cabarettisti d'Italia. Ma anche il resto del cast lavora bene con i proprio personaggi non accontentandosi di replicare le controparti dello schermo. Ne è un esempio Gigio Alberti, già esuberante attore feticcio del regista Gabriele Salvatores, che riesce a lavorare di sottrazione nei melliflui panni dell'avvocato Santelia non sfigurando affatto con la premiata performance di Carlo Delle Piane che ottenne per il ruolo la coppa Volpi a Venezia. Si ride quindi molto in questo “Regalo di Natale”, in alcuni casi anche senza sosta (la gag del meccanico fiorentino), eppure lo spettacolo riesce a conservare la malinconia e la perfidia che sempre trovano posto presso chi si sfida a poker.

Il rapporto col tempo passato, gli sbagli e le frustrazioni che si continuano a ripetere anche da “alternativamente giovani” (non da vecchi, Lele non approverebbe!) e la fondamentale frattura mai sanata tra Ugo e Franco incidono inevitabilmente sul tavolo verde e ne indirizzano le giocate. Il semplice stratagemma di collocare i cinque pokeristi su un tavolo rotante per far sì che il pubblico possa cogliere i loro gesti nelle uniche due sessioni di gioco riesce a rendere bene la tensione che contraddistingue maggiormente il secondo atto. L’aumento delle sigarette e dei bicchieri di whiskey sono il correlato oggettivo della doppia crisi che chiude il finale dello spettacolo: l’azzardo del rilancio sui 200 mila euro e la rivelazione su Martina, prima moglie di Franco sedotta capricciosamente da Ugo e causa del divorzio dei due, trovano il loro sfogo in un unico incauto gesto. Su questo punto la versione teatrale di “Regalo di Natale” trova una chiusa più morbida dato che non si vede la spartizione dei soldi tra l’avvocato ed Ugo. La conseguente incertezza del raggiro e l’abbraccio finale tra Lele, Stefano e Franco non trova la conferma maligna che alligna a Natale negli amici di poker. Siamo ancora a Maggio, c’è ancora tempo per essere fregati dai propri cari.

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