Titolo: Tornare a galla
Autore: Margaret Atwood
Editore: Ponte alle Grazie
Pagine: 240
Anno di pubblicazione: 2020
Prezzo copertina: 16,80 €
Recensione a cura di Eleonora Cocola
Una giovane donna torna nei luoghi della sua infanzia, spinta dal mistero della scomparsa di suo padre: la porta della casa, unico manufatto umano di un’isoletta che sorge nel mezzo di un lago nel cuore del Québec, è aperta; la natura del luogo, selvaggia ma contaminata dall’uomo, sembra avere qualcosa da comunicare alla protagonista. E infatti il viaggio della ragazza diventa un cammino interiore, si perde nei meandri della memoria, dei ricordi infantili che tornano a galla, a volte come visioni sporadiche e velate, altre come ombre del passato che assumono contorni vividi. Per la giovane donna la ricerca del padre diventa presto ricerca di se stessa, di chi è stata, di chi vuole essere. La storia è immersa in un’atmosfera che pagina dopo pagina si fa sempre più surreale. La protagonista – una donna senza nome – è un archetipo, rappresenta una condizione femminile lacerata, come se una parte di lei fosse stata uccisa, o forse solo anestetizzata e in attesa di risvegliarsi: “Una donna segata in due dentro una cassa di legno, in costume da bagno, sorridente, un trucco di specchi, l’avevo letto su un giornalino; solo che con me c’era stato un incidente e mi ero spaccata. L’altra metà, quella sottochiave, era la sola che poteva vivere; io ero la metà sbagliata, staccata, terminale”.
La ricerca del padre scomparso funge da motore per trama, ma capitolo dopo capitolo diventa sempre meno essenziale, mentre ci rendiamo conto che l’unica ricerca che conta è quella della metà spaccata. È un pellegrinaggio interiore, che avviene tutto nella mente della protagonista, con l’aiuto di alcuni elementi: una serie di disegni indecifrabili lasciati dai genitori, e una natura viva, che attraverso i suoi elementi – prima di tutto, simbolicamente, l’acqua – riporta alla protagonista i ricordi rimossi, dolorosi ma fondamentali per ritrovarsi. Il resto dell’umanità sono gli americani, genericamente ridotti alla figura dell’invasore, distruttori della natura attraverso la violenza gratuita, e i tre compagni di viaggio della protagonista – l’uomo con cui sta e una coppia di amici, che di per sé meritano una menzione piccola quanto le loro anime: sono del tutto incapaci di capire cosa succede alla loro amica, la quale invece li osserva con freddezza, sentendosi sempre più distaccata dalla loro pochezza.
La natura ha un ruolo centrale, l’autrice non si limita alle descrizioni: i colori del cielo, l’odore della terra, i rumori della foresta, sono parte integrante della storia. L’ambiente è un ulteriore personaggio, o meglio un co-protagonista. Se ne avverte il respiro, se ne sente la voce e sembra di vederlo nitidamente. Il suo ruolo diventa sempre più centrale e più chiaro verso la fine del romanzo. La storia, interamente narrata in prima persona dalla protagonista, si dipana attraverso i suoi occhi, le sue percezioni e i suoi pensieri. Succede quindi che nelle descrizioni – dei personaggi ma soprattutto del paesaggio – la vena poetica di Margaret Atwood si esprime in modo più felice, in paragrafi fluidi, nitidi come dipinti ed altrettanto ricchi di dettagli; gli accadimenti invece sono tendenzialmente più vaghi, confusi e talvolta difficili da comprendere (specie verso la fine del libro) perché interamente raccontati attraverso il filtro di una mente complessa e irrisolta. La vicenda resta così sospesa, proprio come la casa in cui si svolge, che galleggia su un’isoletta in mezzo al lago, fuori dallo spazio e dal tempo: si ha l’impressione di averla capita solo in parte, di non poterne cogliere appieno i misteri, pur rimanendone segnati e turbati.
Autore: Margaret Atwood
Editore: Ponte alle Grazie
Pagine: 240
Anno di pubblicazione: 2020
Prezzo copertina: 16,80 €
Recensione a cura di Eleonora Cocola
Una giovane donna torna nei luoghi della sua infanzia, spinta dal mistero della scomparsa di suo padre: la porta della casa, unico manufatto umano di un’isoletta che sorge nel mezzo di un lago nel cuore del Québec, è aperta; la natura del luogo, selvaggia ma contaminata dall’uomo, sembra avere qualcosa da comunicare alla protagonista. E infatti il viaggio della ragazza diventa un cammino interiore, si perde nei meandri della memoria, dei ricordi infantili che tornano a galla, a volte come visioni sporadiche e velate, altre come ombre del passato che assumono contorni vividi. Per la giovane donna la ricerca del padre diventa presto ricerca di se stessa, di chi è stata, di chi vuole essere. La storia è immersa in un’atmosfera che pagina dopo pagina si fa sempre più surreale. La protagonista – una donna senza nome – è un archetipo, rappresenta una condizione femminile lacerata, come se una parte di lei fosse stata uccisa, o forse solo anestetizzata e in attesa di risvegliarsi: “Una donna segata in due dentro una cassa di legno, in costume da bagno, sorridente, un trucco di specchi, l’avevo letto su un giornalino; solo che con me c’era stato un incidente e mi ero spaccata. L’altra metà, quella sottochiave, era la sola che poteva vivere; io ero la metà sbagliata, staccata, terminale”.
L'AUTRICE
Margaret Atwood è una delle voci più note della narrativa e della poesia canadese. Laureata a Harvard, ha esordito a diciannove anni. Ha pubblicato oltre venticinque libri tra romanzi, racconti, raccolte di poesia, libri per bambini e saggi. Più volte candidata al Premio Nobel per la letteratura, ha vinto il Booker Prize nel 2000 per L’assassino cieco e nel 2008 il premio Principe delle Asturie. Fra i suoi titoli più importanti ricordiamo: L'altra Grace (2008), L'altro inizio (2014), Per ultimo il cuore (2016), Il canto di Penelope (2018), tutti usciti per Ponte alle Grazie. Margaret Atwood vive a Toronto, in Canada.