La recensione del documentario "El numero nueve", di Pablo Benedetti

Recensione a cura di Mario Turco

Gabriel. Omar. Batistuta. A Firenze il nome e il cognome del centravanti più forte della propria storia calcistica si leggono sempre così, con le pause lunghe dettate dal punto fermo. Non con l'enfasi della maiuscola che è già monumentale (e quindi sepolcrale) di suo ma con la giusta distanza tra le sue componenti che nel loro progressivo disvelarsi (perché parlare di questo spagnolo-ma vuoi vedere che-il numero nove!) aprono il cuore all'epica. A quella di un calcio che si fingeva ancora romantico nonostante i miliardi e gli scandali e a quella di un atleta che dalla lontana Argentina coi suoi capelli indomiti veniva a “mitragliare” di reti le porte delle blasonate ed odiate squadre del nord. “El numero nueve”, il documentario di Pablo Benedetti prodotto da Sensemedia con Mirror e Sartoria dell’Immagine, distribuito da Zenit Distribution recentemente anche sulle piattaforme Amazon Prime Video e Chili dopo essere stato già disponibile su Sky e in home video su Ibs e Feltrinelli, sin dai suoi fotogrammi di apertura mostra di sapere di star maneggiando un materiale narrativo emozionalmente devastante. Perché Batistuta, il centravanti venuto da Reconquista per portare alla ribalta internazionale una squadra di media classifica come la Fiorentina, ha incarnato i valori più sani dello sport più amato in Italia. 


Ci si aspetterebbe un biopic retorico, potente come il suo protagonista ed invece “El numero nueve” si apre in una stanza d'ospedale, alla vigilia di un'operazione chirurgica fondamentale per cercare di salvargli le cartilagini delle caviglie compromesse. Batistuta, ancor più affascinante coi suoi capelli ingrigiti, aspetta con trepidazione il consulto del medico facendo zapping serale sul piccolo televisore. La mattina la diagnosi è devastante: “In tanti anni da sportivo professionista, le molte infiltrazioni, hanno compromesso le sue caviglie. Quando ho visto la sua radiografia sembravano quella di un uomo di 80 anni”. Il film di Benedetti nella prima straordinaria mezz'ora dribbla, è il proprio caso di scriverlo, i paletti del classico racconto sportivo con una veronica piena di quella che i greci chiamavano nostos. Dopo la scena del responso ospedaliero vediamo infatti l'ex-centravanti argentino tornare nella città in cui si sapeva di essere il principe. Ma è un ritorno pieno di nostalgia, appunto, quello sull'erba dello stadio Artemio Franchi con Stefano Fiorini, preparatore atletico dell' AC Fiorentina nei primi anni Novanta. - “Ricordo benissimo la mattina dopo la presentazione il giorno precedente allo stadio quando si fecero quei test e i risultati erano semplicemente impressionanti. In tantissimi anni di carriera non ho più ritrovato un calciatore con queste qualità fisiche” -gli dice l'uomo, con gli occhi che a distanza di anni luccicano ancora. Il Re Leone sorride, non ha più l'iconica criniera ma una protesi che lo fa zoppicare leggermente e lo rende forse ancora più maestoso nella sua fragilità. 


Siamo al minuto 26 ed “El numero nueve” non ha ancora fatto vedere una singola immagine di repertorio perché non ne ha bisogno: in fondo due Supercoppe Italiane, una Coppa Italia, uno Scudetto e 182 reti non rappresentano una grandissima sceneggiatura. Benedetti sembra esserne consapevole e cede quasi controvoglia al dovere commerciale nella parte centrale del suo documentario mancando però del necessario pathos sportivo: la straordinaria rete a Wembley di Batistuta contro gli inglesi dell'Arsenal non viene enfatizzata abbastanza nel timore forse di cadere nei trionfalismi giornalistici dell'epoca. La terza ed ultima parte del film cerca di recuperare l'originale approccio iniziale oscillando tra il passato e il presente del numero nove dell'Albiceleste, tra i suoi esordi svogliati nelle giovanili dei Newell's Old Boys e il suo quasi quarantennale amore per la moglie Irina, forse il gesto tecnico più clamoroso in un calcio che non conosce più da tempo la parola fedeltà. Qui sebbene la crew produttiva mostri un gusto per l'immagine da indie festivaliero, “El numero nueve” si specchia nella sua bellezza un po' effimera facendo svanire la folgorante intuizione dei primi minuti. Il documentario crede che allo spettatore importi davvero sapere delle partite di polo di Batistuta o della rigida educazione impartita ai suoi figli: dell'ex-cannoniere avremmo solo continuato a vedere tutti i gol non fatti.

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