Recensione a cura di Mario Turco
Adattamento cinematografico del romanzo autobiografico L'evento, della scrittrice, anche'ella transalpina, Annie Ernaux, il film racconta come se fosse un thriller – l'inesorabile avanzare delle settimane – la difficile scelta abortiva portata avanti da Anne (una lattiginosa ed intensa Anamaria Vartolomei). Siamo nel 1962 e all'università la ragazza e le sue amiche trascorrono il tempo tra studi ed incipienti accenni di sessualità. In questa prima parte Diwan calca un po' troppo la mano sulla pudicizia dei costumi – siamo pur sempre nel decennio dell'amore libero, che non esplode all'improvviso ma ha un lungo processo preparatorio, ed in una nazione europea – lasciando alla famosa diatriba tra chi fosse più (intellettualmente?) sexy tra Camus e Sartre l'unico discorso apertamente erotico. Per il resto, infatti, il sesso non si vede, confinato in amplessi masturbatori con un cuscino e in rivelazioni tardive che non ne intaccano la natura invisibile. Così anche quando Anne si reca dal ginecologo a causa di un ritardo nelle mestruazioni oramai troppo eloquente il suo rifiuto “Non può essere” sembra accordarsi alla visione virginea che lo spettatore si è fatto. Il peso di una gravidanza non solo indesiderata ma quasi nemmeno paventata cala come una scure su Anne. Ma se da una parte la precisa volontà di interromperla si scontra con enormi ostacoli istituzionali, sanitari, familiari e sociali (la pancia gravida come una sorta di lettera scarlatta, che il film intuisce senza svilupparla a pieno), dall'altra apre paradossalmente alla liberazione del corpo e della mente .
“La scelta di Anne” segue entrambe queste direzioni ma insiste con particolare enfasi sulla prima. E lo fa tenendosi lontano dai toni di denuncia tipici di tanto cinema civile, pur non riuscendo a discostarsi del tutto dall'asciuttezza formale che contraddistingue già da tempo il suo superamento. Mantenendo intatta la dimensione autobiografica del romanzo di partenza, la regista infatti non fa sconti alla sua protagonista, pedinandola con la macchina a mano e indagando sulle conseguenze della sua scelta e sui motivi che l'hanno determinata. Perché per liberarsi di “quella malattia che viene solo alle donne e che le trasforma in casalinghe”, Anne dovrà passare le pene dell'inferno confessionalista che fino a qualche anno fa negava alle donne il diritto all'autodeterminazione e le costringeva quasi sempre a dover dare alla luce un bambino non voluto che, come nel suo caso ad esempio, l'avrebbe costretta a rinunciare ad un brillante avvenire letterario. L'insistenza sulla solitudine della ragazza, costretta prima a cercare di abortire da sola infilandosi un ferro da tenda surriscaldato nella vagina e poi con l'aiuto clandestino di una “mammana”, non è purtroppo un segno dei tempi passati ma una drammatica denuncia di quello che ancora avviene a tante donne che in questo ritorno all'oscurantismo civile – si veda l'aumento vertiginoso della percentuale dei medici obiettori di coscienza, che in alcune regioni d'Italia raggiunge il 90 percento – rischiano di diventare madre senza averlo voluto veramente. “La scelta di Anne” però non riesce mai ad affrancarsi dalla sua dimensione etica lasciando che essa fagociti la forma cinematografica. Le tappe del dolore esperite dalla ragazza vanno accumulandosi fino al drammatico finale – l'espulsione del feto in bagno, in una scena finalmente cruda e giocata giustamente sugli stilemi dell'horror pornografico – secondo una ricostruzione fin troppo glaciale e implacabile. Nulla sappiamo di Anne e della sua cerchia familiare/amicale, né della Francia del tempo ed in fondo nemmeno dell'oppressione messa in atto dalla società affinché ella procrei a tutti i costi, anche dopo una disattenta notte di sesso. Che tocchi ad un Festival premiare un film dignitoso ma timido è il segno dell'attuale dibattito pubblico sul tema dell'aborto.