La recensione di "Santocielo", con Ficarra e Picone, al cinema dal 14 Dicembre distribuito da Medusa

Recensione a cura di Mario Turco

l cinema di Ficarra e Picone meriterebbe molta più attenzione critica di quella che attualmente riceve. Sopravvissuti alla morte del cinepanettone e in grado, loro stessi, di inanellare una serie di grandi successi - il "7 e l'8", naturalmente, ma anche "Il primo Natale", capace di incassare ben 15 milioni di euro -, il duo comico siciliano, con una capacità manageriale molto più scafata di quella che potrebbe apparire a prima vista, ha attraversato orizzontalmente e verticalmente il cinema comico italiano degli ultimi vent'anni. Dagli esordi come partner in crime dei re (ormai decaduti) Aldo, Giovanni e Giacomo, alla conduzione tv di Striscia la notizia fino ai tour teatrali e al bellissimo doppio ruolo ne "La stranezza", vero e proprio caso cinematografico del 2022, Salvatore Ficarra e Valentino Picone stanno avendo una carriera che sta segnando, a piccole ma profonde dosi, la cultura italiana. Così anche "Santocielo", di Francesco Amato nelle sale italiane dal 14 Dicembre grazie alla distribuzione della corazzata Medusa Film è un ulteriore e compiuto passaggio dei due autori palermitani. 


Aristide (Valentino Picone) è un angelo che lavora all'Ufficio Smistamento Preghiere in maniera svogliata, sia perché gli individui hanno il difetto di chiedere favori alla divinità cristiana per qualunque inezia, sia perché aspetta un avanzamento di carriera che lo porti al Settimo Cielo e gli consenta di esaudire il suo più grande desiderio, e cioè cantare nel coro. Durante una sessione plenaria, condotta con interventi e rozzezze da dibattito parlamentare - ottima l'idea della gag ma la scena ha battute paratelevisive -, i suoi alati colleghi e lo stesso Dio (Giovanni Storti) decidono che per redimere la "schifosa" umanità c'è bisogno di un secondo Messia. Sarà proprio il mercuriale burocrate a proporsi per l'ingrato compito di annunciare il lieto evento alla prescelta ma una volta atterrato a Palermo le cose non andranno come previsto: a restare gravido del Salvatore infatti, dopo una serata alcolica non molto sacra, sarà Nicola Balistreri (Salvatore Ficone), vicepreside in una scuola diretta da suor Germana. Non osando confessargli l'accaduto, Aristide si infiltra nella vita dell'altrettanto problematico professore di matematica, alla prese con un divorzio che da maschio alfa non riesce ad accettare, provando in modi fin troppo terreni a risolvere il celeste pasticcio... 


Santocielo racconta con ironia e la solita gentilezza - la scelta di rinunciare alla volgarità è da sempre uno dei punti di forza del duo siciliano, anche qui attento ad evitare scivoloni nonostante la doppia pericolosità dei temi religiosi e di genere - una storia allo stesso tempo profondamente radicata nella nostra epoca ma anche atemporalmente paradigmatica. Anche se la fatica del brainstorming a cui in fase di scrittura hanno contribuito ben dieci mani si avverte nella lunga durata e nella palese, quanto rivendicata nelle interviste, doppia sceneggiatura, il lungometraggio dialoga da par suo col presente senza facili ed invasivi moralismi d’autore. Se le tirate borghesi del bonario Nicola, incapace però di accorgersi del sessismo di tantissime sue convinzioni basate su un senso comune tipicamente meridionale e patriarcale, sembrano la risposta comica di Ficarra e Picone all'incredibile successo dell'esordio al cinema di Paola Cortellesi, gli equivoci derivanti dalla messianica gravidanza sono puro repertorio di genere, risolti con travestimenti e ribaltamenti di senso che sarebbero piaciuti a Plauto. Santocielo però è troppo rigido in questo scambio continuo tra classicità e attualità e a soffrirne maggiormente è tutta la parte ambientata nel borgo che accoglie le due coppie di fuggiaschi, ritratto con la deprecabile retorica da film commission fatta di scorci paesaggistici, case in pietra, abitanti ruspanti ed accoglienti. Pur ambientando la vicenda in una Palermo più presente nella "calata" dei personaggi che nei luoghi reali (ci sono solo sprazzi di Vucciria e piazza Politeama), Ficarra e Picone stranamente risultano poco incisivi nella coralità dei personaggi secondari,a differenza delle pellicole da loro dirette in precdenza. Così l'invenzione dell' "arancinTo" da parte dei commercianti di strada e la fuga dal circo mediatico del povero lavoratore che si tiene la pancia giustificandosi con l’urlo belluino: “Chista è birra. Sugnu un ‘mbriacuni” sono le uniche due risate a pancia piena che il film concede. Per il resto, questo Santocielo paga pegno ad una maturità autoriale che forse soddisfa fan e critici ma rischia di far essiccare ulteriormente un cinema come quello palermitano in forte crisi di fronte all’esuberanza di quello napoletano e alla commerciabilità di quello romano.

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