La recensione di "Ultimi crepuscoli sulla Terra", di Fabio Condemi liberamente tratto dalle opere di Roberto Bolaño in scena al Teatro Vascello fino al 12 Maggio

Recensione a cura di Mario Turco

Ma quant'è violentemente bravo Fabio Condemi. Classe '88, il regista che già nel 2021 ha riportato in una splendida e innovativa riduzione teatrale l'incendiario marchese De Sade col suo testo probabilmente più emblematico (e giustamente premiato quell’anno col Premio Ubu alla regia), "La filosofia nel boudoir", torna sul palco del Teatro Vascello di Roma fino al 12 Maggio con questo altrettanto sulfureo "Ultimi crepuscoli sulla Terra". Produzione La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Accademia Nazionale D’Arte Drammatica Silvio D’Amico, qui il regista e drammaturgo emiliano-marchigiano si misura con uno scrittore che, benché amato da un crescente numero di appassionati di letteratura di tutto il mondo, non ha ancora avuto rappresentazioni transmediali degne del suo grandissimo talento: Roberto Bolaño. Attraverso un'intelligente selezione di brani provenienti da opere quali “Consigli di un discepolo di Jim Morrison a un fanatico di Joyce”, “2666”, “Puttane assassine” e “Chiamate telefoniche”, Condemi riesce nel doppio difficilissimo compito di dare giustizia poetica allo scrittore cileno e portare allo stesso tempo avanti la sua riflessione personale su alcuni temi che sta sperimentando da anni nel suo mai banale rapporto con autori che vanno dallo specialista horror Thomas Ligotti al nostro nume Pier Paolo Pasolini. 


Rinunciando alla natura filologica di una trasposizione letterale per lasciarsi invece ampia discrezionalità di selezione dal corpus bolañano (gli estratti provengono sia dai romanzi che dalle raccolte dei racconti), Ultimi crepuscoli sulla Terra è molto più di un'antologia perché riesce nelle sue due ore di durata ad argomentare sul palco un discorso coeso ed in alcuni punti asfissiante sul ruolo della violenza nel mondo finzionale e reale. Sul lato destro della gran bella scenografia curata da Fabio Cherstich, Angel Ross (Lorenzo Ciambrelli) e la sua folle compagna Ana (Sofia Panizzi in ruolo difficile in cui l'attrice si getta con coraggio e tanta bravura) pianificano su una vecchia Panda scassata un'altra rapina all'insegna della droga e dell'ultra violenza. Lo schermo posto al centro ne replica come in un film - il montaggio, i primi piani, la camera car - i deliri amorosi e criminali, lasciando presto il posto allo straordinario scambio tra i due poliziotti interpretati dagli eccezionali (si eccede in complimenti, ma l'ulteriore merito di Condemi è saper sempre selezionare interpreti altrettanto bravi) Vincenzo Grassi ed Eros Pascale. I due protagonisti de “I detective” dopo aver girato quasi a vuoto tra armi bianche, prostitute e compagni di scuola passati nell'illegalità arrivano alla rievocazione sotterranea - e perciò ancora più destabilizzante - di un episodio collaterale avvenuto durante la dittatura di Pinochet che scuote in maniera decisiva uno spettacolo che fino a quel momento si era mantenuto su una linea di galleggiamento apparentemente controllabile. Nonostante lo spezzettato racconto delle vittime di femminicidio nell'immaginaria città di Santa Teresa fatte in “2666”, qui recitate da tutti gli attori con un tono documentaristico che rende ancora più macabro il lungo elenco di efferatezze da obitorio - il taglio del seno, lo stupro anale e vaginale, lo sperma trovato nella gola della dodicenne assassinata -, Ultimi crepuscoli sulla Terra prende il volo verso l’orrore più profondo con l’atto necrofilo subito dal modello (Federico Fiochetti, lodevole anch’egli nel caricare ironicamente un personaggio che in altre mani sarebbe rimasto solo una vittima) protagonista de “Il racconto”. 


Il giovane morto durante una serata in discoteca ha la sfortuna di diventare un fantasma capace di vivere e raccontare in prima persona lo stupro post-mortem commesso su di lui da uno stilista che sceglieva i cadaveri perché non “voleva fare male durante il sesso (a me o a lui?)”. E se questa sortita nella violenza conserva ancora qualche traccia di disincanto ed ironia tipiche della scrittura di Bolaño, Condemi lascia al finale la parte più drammatica ed insostenibile. Se il primo ritorno dei giovanissimi e perduti Angel Ross e Ana, pur accompagnato dai truci resoconti delle loro tossiche scorribande, si svolgeva ancora verbalmente tra le pareti della stanza in cui campeggiano i poster di “Vivre sa vie” e “Pierrot le fou” (col ragazzo che scimmiotta perfino Belmondo), è la feroce mattanza a casa della poetessa (Anna Bisciari) a lasciare scossi. E la lettura de “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, di Leopardi letto dalla guaritrice e veggente del polimorfico ed inafferrabile “2666”, non può fare altro che attenuare un poco questo teatro della crudeltà verso comunque un dolente pessimismo che, mostrando una sfera cartonata della Terra, ricorda difatti che i “pastori sono uguali da tutti le parti”.

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