La recensione del film "Inside Out 2", al cinema dal 19 giugno

Recensione a cura di Mario Turco

Il pannello di controllo della mia personalità durante la visione di "Inside out 2", di Kelsey Mann, l'attessisimo sequel Pixar nelle sale italiane dal 19 Giugno grazie alla distribuzione di Walt Disney Studios Motion Pictures, era manovrato da un numero così elevato di emozioni che superava di gran lunga il già ampio board della protagonista del film, la tredicenne Riley. Ad alternarsi alla guida, in appena un'ora e mezza (scarsa) di durata, sono state infatti sia le cinque emozioni del primo capitolo - Gioia, Tristezza, Paura, Disgusto e Rabbia - che le cinque di questa seconda avventura - Ansia, Ennui, Imbarazzo, Invidia e Nostalgia. Ma, maledetta cinefilia, a queste personalmente si aggiungevano le passive Scoramento, Sorpresa, Cinismo e Rassegnazione. Come in un flusso di coscienza apparentabile a quello del film - una delle tante intuizioni non cavalcate mai realmente dal punto di vista immaginifico di questo sequel timidissimo - il pensiero andava spesso all'attesa del momento Bing-Bong® (copyright DocManhattan), qualche volta alla fin troppo facile decostruzione narrativa che il film richiedeva ed in un paio di occasioni all'ideazione della brillante reaction che dopo l'anteprima avrei lasciato all'ufficio stampa. 


Insomma, il sequel del film che nel 2016 si aggiudicò meritatamente l'Oscar come miglior film d'animazione, perde la meraviglia dell'originale rientrando a piene mani in quella esiziale disneyzzazione del canone Pixar che anche dietro questa scintillante confezione non riesce a perdere il suo tanfo industriale. In Inside Out 2 torniamo da Riley, la bambina protagonista della prima pellicola, che adesso è una tredicenne virginale la cui pre-adolescenza scorre tra vistosi ma non problematici (come no?!) apparecchi dentali e brufoli, sorellanza bambinesca con le sue due amiche del cuore e le partite di hockey con la squadra della scuola. Quando viene convocata, insieme alle due compagne, ad un campus estivo che le permetterà di farsi notare dall'high-school ed ottenere magari una borsa di studio per lo sport su ghiaccio che pratica, il mondo emozionale che sin lì Gioia aveva gestito con successo fino a farle ottenere un senso di sé positivo - "sono una brava persona" -, crolla in un momento. Per Riley, infatti, arriva la pubertà e nella sala comando devastata dall'ufficio demolizioni (metafora grossolana ma condotta in maniera simpatica) un'altra emozione prenderà presto il controllo: Ansia. La sua continua pianificazione dei disastri situazionali a cui la ragazzina può incorrere nel suo tentativo di farsi accettare dalle nuove compagne di squadra ne destabilizza l'equilibrio, rendendola una persona preda delle sue insicurezze e capace perfino di cattive azioni. Toccherà a Gioia e alla squadra di emozioni del primo film superare anche l'inconscio di Riley e riprendere il controllo di un'anima gravata dalle ossessioni tipiche di un'età difficile... 


Inside Out 2 ha una sceneggiatura all'apparenza giusta e piena di idee al passo coi tempi, forte quindi di un concept in grado di far appassionare di nuovo pubblico e critica. La scelta di porre Ansia al centro di una vicenda che tocca la necessità della crescita, con i suoi cambiamenti e le sue sopraggiunte aspettative sociali, è un tema sempreverde nei racconti di formazione animata e ha l’ulteriore merito, anche se solo tangenzialmente, di toccare spunti di sanità mentale. Scritto con l'aiuto di un team di psicologi, il film anche in questo caso riesce in alcuni casi a trasfigurare visivamente concetti complessi come il primo impatto catastrofico del sarcasmo o la “valanga dei brutti ricordi”, necessaria per la formazione di un io che non abbia paura di nascondere, innanzitutto a sé stesso, i lati negativi della propria personalità. Ma il problema principale di Inside Out 2 è quello di muoversi in maniera fin troppo guardinga nello straordinario mondo creato inizialmente dalla squadra di Pete Docter, contentandosi di arricchirlo ove possibile (la squadra di disegnatori di tutte le prospettive negative, eterodiretta da Ansia) e dando la solita memorabile caratterizzazione ai personaggi secondari (Lance Slashblade, sicuramente divertente ma così pretestuoso da farlo sembrare un personaggio cestinato di Ralph Spaccatutto). In questa sua prima regia Kelsey Mann sembra vittima della stessa emozione arancione protagonista di questo sequel: in quasi ogni passaggio si possono infatti avvertire i ripensamenti e le riscritture attuate per piacere alle più ampie porzioni di pubblico possibile e la stanca reiterazione di alcune delle più fortunate gag del capostipite (le emozioni coi baffi del padre e quelle con gli occhiali della madre di Riley). Alla plancia di comando del film non siede quindi un’emozione: giace un CdA in cui i sentimenti hanno una quota di minoranza.

LIBRI & CULTURA CONSIGLIA...