La recensione di "Anfitrione", di Emilio Solfrizzi in scena al Teatro Quirino di Roma fino al 20 Ottobre

Recensione a cura di Mario Turco

Ha ben ragione Emilio Solfrizzi che in una recente intervista a Il Messaggero si lamenta dell’ostracismo riservatogli dalla maggior potenza mediatica italiana: "La Rai che mi snobba o il cinema che non mi propone progetti adatti mi fanno star male". Non concordiamo però col suo (malcelato) desiderio di visibilità verso il grande pubblico perché la carriera che ha saputo costruirsi a teatro, durante questa lontananza forzata dagli schermi, ha ampliato notevolmente il bagaglio artistico di un autore più raffinato di quello che vuole il suo personaggio pubblico. 


Ecco allora che l’“Anfitrione”, diretto da lui stesso ed in scena al Teatro Quirino di Roma fino al 20 Ottobre, segnala ancora una volta la felice – per noi spettatori dei palcoscenici- serendipità culturale nata da questa colpevole dimenticanza. Solfrizzi sceglie qui con coraggio ma anche furbesca accortezza di cimentarsi con uno dei testi più famosi della commedia di ogni tempo, travolgendo e facendosi travolgere dall’enorme quantità di equivoci che il testo del commediografo latino conteneva in nuce. Il semplice e straordinario canovaccio viene mantenuto nel suo insieme ma il regista barese, per questa trasposizione, si mantiene un buono spazio di manovra innervando la classica struttura con alcune escursioni battutistiche moderne (“No, non è tutta in latino” prende in giro Mercurio che era apparso sulla scena declinando qualche verso plautino) che gli permettano alcuni momenti istrionici assolutamente esilaranti. Anfitrione e il suo servo Sosia (Emilio Solfrizzi) tornano a casa dopo una lunga campagna militare. Nel frattempo, il sempre infoiato Giove assume l’identità del condottiero tebano per copulare con la sua bella moglie, Alcmena, facendosi aiutare in questo stupro poco divino dal figlio Mercurio, che prende le fattezze dello schiavo. Tra i protagonisti umani si scatenano allora così tante incomprensioni da portare fino alla minaccia di divorzio tra Alcmena e Anfitrione e quella di omicidio tra padrone e schiavo. Trattandosi però del più fulgido esempio di commedia plautina, lo scioglimento finale sarà ovviamente positivo e vedrà la comparsa sulla scena perfino del semidio più famoso della mitologia greca, in quello che oggi sarebbe considerato un cameo inaspettato. 


L’Anfitrione di Solfrizzi è un riuscito ma un po’ compiaciuto giocattolo teatrale che mostra anche al pubblico del 2024 l’eterna soavità della comicità antica. L’autore pugliese sia da regista che da interprete sfoga infatti la sua irruenza popolare facendo di Sosia un personaggio che flirta col cialtronismo italico senza oltrepassarne però mai la soglia. I dilemmi esistenziali della perdita identitaria e del doppio – “Chi sono io?” - sono soltanto accennati e trovano saltuariamente spazio sulla scena. Predominante è invece la riflessione metatestuale e la riscrittura moderna di certi scambi che culminano nel lungo sketch di un Sosia che, alla maniera dell’Amadeus (con estenuanti pause di suspense annesse!) della trasmissione televisiva “Affari tuoi”, chiede ad Anfitrione di aprire il pacco che svelerà l’inganno della coppa d’oro. Si ride molto, quindi, anche per l’utilizzo sapido e non invadente di qualche dialettismo (un paio di esternazioni camorristiche del tonitruante Giove, gli irresistibili “a capo” baresi dello stesso Solfrizzi), barcollando però in un paio di gag contemporanee che hanno una faciloneria paratelevisiva (era proprio necessario il richiamo a Gomorra?). Si poteva forse osare qualche licenziosità sessuale in più – la condotta di Giove oggi sarebbe punibile penalmente e poteva essere oggetto di qualche appiglio culturale con la temperie dell’oggi –, mentre molto azzeccati restano i rimandi alla commedia dell’arte e a certo splastick. Ad ogni modo Anfitrione conferma e rilancia la verve dell’attore e regista pugliese che proprio a teatro, a nostro avviso, ha trovato il mezzo ideale per esprimere la sua energia e il suo talento intellettuale. E siamo sicuri che quel telefono a breve riprenderà a squillare...

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