Recensione: Disegni, di Peter Handke

Titolo:
Disegni
Autore: Peter Handke
Editore: Jaca Book
Pagine: 144
Anno di pubblicazione: 2020
Prezzo copertina: 50,00 €

Recensione a cura di Mario Turco

Questa volta l'impresa è davvero ardua, recensionalmente parlando. Quando l'oggetto dell'analisi critica è per sua natura abbozzato come questi “Disegni” realizzati dallo scrittore Peter Handke ed arrivati in libreria a inizio giugno per Jaca Book, con un testo del filosofo Giorgio Agamben ad introdurli – quanto piuttosto ad esaurirne la dimensione letteraria, verrebbe da scrivere – il compito dello scrivente può andare a parare/nascondersi nell'elzeviro puro, nell'astratta disamina della frammentarietà dell'operazione o nello svicolamento verso la dimensione biografica. Qui si cercherà, en passant, di toccare tutte e tre le possibili opzioni evocate cercando inoltre di mantenere ferma la barra della traccia referenziale. Questi fogli, realizzati tra il 2007 e il 2017, sono già stati esposti alla Galerie Klaus Gerrit di Berlino, per poi divenire nel 2019 volume per i tipi di Schirmer e Mosel. 


Barche a vela, cipressi, funghi, formicai, un topo selvatico, poche figure umane, qualche località sono i soggetti delle escursioni nelle arti grafiche. I disegni di Peter Handke, premio Nobel per la Letteratura nel 2019 ma artista a tutto tondo come già raccontato in questa sede per un'altra sua opera, sono spesso solo abbozzati, rare volte pienamente tratteggiati ed in gran parte sono estratti dai suoi manoscritti o letteralmente ritagliati dai suoi taccuini di lavoro. Spesso minuscoli, sono usati in funzione di contrappunto alle note di viaggio o di pensiero esplicati durante le numerosi contemplazioni paesaggistiche a cui lo scrittore austriaco si abbandona. Se è vero che, come nota la quarta di copertina “da Puskin a Nerval, da Dostoëvskji a Kafka, sono molti gli scrittori che hanno riempito di schizzi e disegni i propri quaderni manoscritti” bisogna pur ribadire che a memoria nessuna di queste pratiche aveva trovato autonoma iniziativa editoriale come in questo caso. Ciò che manca a questi “Disegni” fitti di dettagli, densi di sfumature, raffinati come miniature è infatti un qualsiasi voglia apparato esegetico di commento che faccia non solo paralleli con la sterminata produzione dell'autore ma quantomeno dia indicazioni spazio-temporali di sorta. Abbiamo solo i titoli, appena accarezzati dall'ermetismo poetico del loro apparente freddo nominalismo: “L’ora fra rondine e pipistrello. Aranjuez”, “Muro di ombre d’albero”, “Fiore di tiglio nella tazza di caffè”, “Airone. Baia di nessuno”, “Strie di pioggia sull’Oise. Piccardia”, “Alveare d’argilla”, “Buche per il bagno dei passeri sulla sabbia del lungoriva”, “Stampa di fungo”, “Testa di uccello che guarda fuori dall’erba”, “Danza d’ombre di tronchi di platani in riva alla Senna”, “Girini nello stagno senza nome”. 


Nella nota introduttiva il filosofo Giorgio Agamben prova a dare una sovrastruttura intellettuale a questa clamorosa assenza scorgendo un'analogia stilistica tra i disegni di Handke e certa arte giapponese, in particolare il surimono, che unisce nello stesso foglio poesia e pittura. “Nel surimono di Handke, la scrittura assedia l’immagine, la circonda da ogni parte, si infila dovunque, ma a volte si sottopone e si arrende, docile, fino a farsi soltanto titolo e didascalia”. La sensazione predominante in una lettura inevitabilmente veloce, acuita dal carattere di “schizzi” che hanno questi disegni ,è che si potesse quantomeno mutuare dai classici percorsi espositivi di mostre pittoriche la presenza di qualche rado pannello/tavola che fornisse contezza delle scelte di catalogazione effettuate o un similare tentativo di inquadramento teorico. Così giustapposti questi “Zeichnungen” sembrano scaturiti da momenti di oziosa rilassatezza, privi di urgenza narrativa e perfino formale (alcuni sembrano davvero schemi preparatori fatti con una sola matita). E nonostante la solita originalità di sguardo di Agamben ci si trova ad essere in disaccordo con le sue parole che sanno tanto di difesa aprioristica: “Sono come sensazioni che rimangono attaccate ai polpastrelli che le hanno provate, impressioni che non vogliono staccarsi dallo sguardo che le ha percepite. Chi disegna quelle immagini è come se disegnasse anche il sensorio in cui sono apparse, la sensibilità che hanno trafitto”. Non quella del lettore di questa raccolta, piccola barca di segni gettata senza vela e senza equipaggiamento nell'oceano interpretativo dei nostri tempi.

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