La recensione de "Il medico dei maiali", testo e regia di Davide Sacco in scena al Teatro Quirino di Roma fino al 27 aprile
Recensione a cura di Mario Turco
"Il medico dei maiali", testo e regia di Davide Sacco con produzione Ente Teatro Cronaca, LVF – Teatro Manini di Narni e in scena al Teatro Quirino di Roma fino al 27 aprile, è invece un'opera che merita di andare oltre le più epidermiche analogie che la critica, a tutti i livelli, continua a replicare. Nei suoi fittissimi 80 minuti di durata, la nuova fatica del trentacinquenne autore campano - giustamente insignito come testo vincitore del Premio Nuove Sensibilità 2.0 2022 - è infatti un mirabile concentrato di originale riflessione e dialogo sapienziale con la più colta e stimolante tradizione del teatro più propriamente politico. Da questo punto di vista, l'ambientazione della vicenda nell'Inghilterra imperiale probabilmente vuole essere anche un omaggio all'autore di 1984 ma Il medico dei maiali non gemma necessariamente e direttamente dal filone più nero e temporalmente indeterminato della distopia di metà Novecento. Il breve apologo che vede protagonista il veterinario Alfred Scott, interpretato in maniera ottimale da Luca Bizzarri, sembra piuttosto essere una più sinistra ucronia o, per restare nei termini concettuali dell'oggi, una dimensione contigua situata nel multiverso della politica mondiale. La pièce di Sacco si concede innanzitutto un prologo visionario in cui sulla scenografia dell'imponente porta contrassegnata dalla cubitale scritta "The king is dead" i personaggi si muovono in maniera rallentata sulle note de "Lascia ch'io pianga", di Händel. Le note rock che punteggiano e poi contrappuntano la famosa aria e il personaggio con la testa di maiale che dallo sfondo entra finalmente in scena sembrano emanazioni eccentriche e provocatorie di un film di Lars Von Trier, che non a caso utilizzò la stessa aria per uno dei suoi film più disperati. Sacco sembra quindi prendere a prestito dal cineasta danese l'idea che questo destabilizzante assolo iniziale debba fare da silente vaticinio del dramma che di lì a poco si svolgerà sulla scena, una specie di alert da non dimenticare durante una rappresentazione che non si concede più nessun spazio visionario per concentrarsi sul vero cuore dello spettacolo.
Il medico dei maiali è difatti un dramma che riflette al suo interno la natura ambigua e duale del Potere, passando con incredibile efficacia dalla dimensione utopica/anarcoide del singolo – il veterinario del titolo – a quella cinica e conservatrice del principe, l’apparentemente scapestrato Eddy (un Francesco Montanari da applausi nel cambio tonale della seconda parte). Proprio quando Alfred crede di esser riuscito a cogliere “l’occasione” giusta per “distruggere” la monarchia, ecco che l’istituzione trova infatti la forza di reagire e tornare - con appena un colpo di pistola che a differenza di quello che crede il suo proprietario è cechovianamente pronta a sparare – al governo di uno nazione di “sudditi” e “maiali” che possono solo gozzovigliarsi nel proprio “piscio”. Sacco è bravo nel depistare lo spettatore dando una forza argomentativa molto valida agli eloqui (im)politici del veterinario, figura simpatica sia nella sua “saggezza campestre” che si esprime per metafore e allegorie – fenomenale la variazione tripartitica della storia del suino Serge e del lutto paterno che nasconde -, sia nella sua voltairianamente candida e shakesperianamente folle volontà di abbattere un sistema che minaccia di esser ancora più iniquo dopo le omicide manovre dei due consiglieri. Quando il nuovo re, capace di indossare la maschera amica di Eddy soltanto per trenta secondi, svela anche a sé stesso la “bestiale” volontà del Potere di perpetuare il suo dominio a qualunque costo, la caduta del velo di Maya sui disegni confusi ma libertari del medico dei maiali ne svela l’impossibile realizzazione. Perché “i maiali piangono e strillano come gli esseri umani” ma rimangono destinati a essere la prelibata carne di marchesi e rampolli cocainomani vestiti da nazisti.