Recensione: Tutto il mio folle amore, di Francesco Carofiglio

Titolo
: Tutto il mio folle amore
Autore: Francesco Carofiglio
Editore: Garzanti
Pagine: 320
Anno di pubblicazione: 2025
Prezzo copertina: 12,90 €

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Recensione a cura di Luigi Pizzi

Francesco Carofiglio sceglie un’estate che non finisce più per raccontare il passaggio all’età adulta: Bari, 1943. Il regime è caduto, l’armistizio spezza il Paese, la guerra non arretra davvero. In questo tempo sospeso, tre diciassettenni – Alessandro “Ale” Latorre, il cugino Italo “Lallo” Acquaviva e Carolina Fitzgerald, italo-irlandese rifugiata in Puglia dopo i bombardamenti su Roma – provano a restare fedeli ai propri sogni mentre tutto intorno si scompone. L’innesco è una mattina di luglio: un corteo studentesco festeggia la fine del fascismo, poi gli spari, il sangue sull’asfalto, la certezza che l’innocenza è stata strappata via. Da quel momento i tre non sono più spettatori.

Il romanzo segue Ale, ragazzo introverso e lucido, appassionato di musica, che trova nella parola e nel suono un varco per capire il mondo. Lallo è il suo rovescio: impulsivo, sportivo, insofferente a ogni disciplina, in conflitto con un padre ufficiale e con un destino che non vuole subire. Carolina, colta e ironica, porta con sé una luce diversa: una voce che incanta e la prova tangibile che la bellezza può ancora avere cittadinanza in mezzo alle rovine. L’amicizia fra i due cugini e l’amore che nasce – inevitabile e fragile – attorno a Carolina sono raccontati senza retorica: entusiasmi, gelosie, scatti d’orgoglio, slanci e ripensamenti. Sono ragazzi veri, non figure esemplari. Al centro della vicenda si colloca Radio Bari: occupata da un gruppo di giovani dopo l’8 settembre, diventa cassa di risonanza della speranza. In quegli studi, dove gli apparecchi del regime sono stati “riconvertiti”, parole e musica tornano a essere strumenti liberi. Ale mette la propria voce al servizio delle trasmissioni, Lallo presta coraggio e spalle larghe, Carolina porta canto e carisma. La radio non è uno sfondo: è un personaggio, il luogo dove l’idea di resistenza prende forma quotidiana. Tra notiziari, letture, brani proibiti, l’etere si fa casa comune, consolazione e sprone. Sullo sfondo passano figure reali della cultura e dell’informazione, a ricordare che la liberazione fu anche un fatto di intelligenza e di suono, non solo di armi.

Fonte: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/c/cb/Tecnico_a_Radio_Bari.jpg/220px-Tecnico_a_Radio_Bari.jpg

Carofiglio intreccia la storia collettiva (la repressione di luglio, l’armistizio, l’arrivo degli alleati, l’esplosione al porto di dicembre) con la storia minima di tre adolescenti che imparano a scegliere. Il titolo non allude solo a un sentimento romantico: è lo slancio vitale di chi, pur tremando, decide da che parte stare. L’autore non cerca effetti speciali: la sua prosa è limpida, misurata, empatica; la tensione nasce da dettagli concreti – una corsa al mare, una prova in redazione, una discussione in famiglia – e da frasi che tornano come ritornelli e si incidono nella memoria. Qua e là il parlato dei ragazzi suona volutamente contemporaneo: è una scelta consapevole, che avvicina i lettori di oggi a quei diciassettenni di ieri e ribadisce il ponte tra epoche. I personaggi sono tratteggiati con cura. Ale cresce passando dalla timidezza all’assunzione di responsabilità; Lallo incarna la fame di vita e il rischio di perdersi; Carolina è insieme presenza concreta e promessa di futuro, non ridotta a simbolo ma ragazza piena, con desideri e paure. Attorno a loro si muovono adulti non monolitici: padri autoritari, insegnanti, redattori, amici di redazione, testimoni di un mondo che si sbriciola e di un altro che tenta di nascere.

Le tematiche si tengono con naturalezza: formazione, amicizia, amore, scelta morale, responsabilità civile, il potere e i pericoli della propaganda, la forza della cultura come presidio quotidiano. Il romanzo ricorda che resistere non è solo imbracciare un fucile: è usare la propria voce, un microfono, una penna; è dire “no” quando sarebbe più comodo tacere; è proteggere i sogni senza smettere di guardare in faccia la realtà. La musica – soprattutto il jazz proibito – diventa lingua di libertà, il contrappunto che tiene insieme ferite e possibilità. Nel finale nulla è semplificato: la storia grande non concede risarcimenti facili, ma affida a quei ragazzi – e a chi verrà dopo – una consegna: vigilare, scegliere la bellezza contro la barbarie, custodire la propria libertà ogni giorno. Tutto il mio folle amore è, in sintesi, un racconto di crescita dentro la Storia: commuove senza compiacere, illumina senza predicare. Invita a credere che anche nei tempi più bui resti uno spazio per la voce, la cura, la gentilezza operosa. E che quel “folle amore” del titolo – fame di vita, di giustizia, di futuro – sia la sola misura con cui diventare adulti senza diventare cinici.

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Francesco Carofiglio è scrittore, architetto, illustratore e regista. Ha pubblicato con alcuni tra i più grandi gruppi editoriali, in Italia e all’estero. Tra i suoi numerosi romanzi L’estate del cane nero (Marsilio 2008), La casa nel bosco col fratello Gianrico (Rizzoli 2014), L’estate dell’incanto (premio selezione Bancarella 2020) e Le nostre vite (Piemme 2021).

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