Recensione: Il pane non può aspettare, di Pier Vittorio Buffa

Titolo
: Il pane non può aspettare
Autore: Pier Vittorio Buffa
Editore: Neri Pozza
Pagine: 304
Anno di pubblicazione: 2025
Prezzo copertina: 20,00 €

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Recensione a cura di Luigi Pizzi

Cabiaglio, piccolo borgo incastonato tra i boschi e i torrenti del varesotto, è il cuore pulsante de Il pane non può aspettare, romanzo intenso e struggente di Pier Vittorio Buffa edito da Neri Pozza. In questo minuscolo angolo d’Italia, apparentemente lontano dal fragore della storia, si consuma uno dei capitoli più difficili della Seconda guerra mondiale. Qui, tra il profumo del pane e il silenzio dei monti, la guerra entra nelle case, spezza i legami e costringe uomini e donne a scegliere da che parte stare. Il romanzo si apre nell’estate del 1938, l’ultima di serenità, fatta di corse in bicicletta e pane con l’uva. Al centro c’è Aristide, diciassettenne fornaio che ha ereditato il mestiere dal padre Edo, ucciso anni prima dai fascisti per aver osato criticare gli assassini di Matteotti. Accanto a lui, la madre Innocenta, figura femminile memorabile, silenziosa e fiera, che regge il forno e la comunità con una forza tranquilla, fatta di gesti quotidiani e di coraggio concreto. Quando l’8 settembre 1943 viene annunciato l’armistizio, Aristide grida di gioia: “È finita, la guerra è finita, sono salvo”. Ma già il giorno dopo la speranza si dissolve. L’Italia è allo sbando: soldati sbandati bussano alla porta del forno chiedendo un po’ di pane, ma “i ripiani dietro il bancone sono vuoti”. Innocenta offre loro polenta e un rifugio per la notte, perché anche la solidarietà diventa una forma di resistenza. Da quel momento, nulla sarà più come prima.

Immagine generata con l'IA

Buffa racconta un’Italia divisa e ferita: fascisti e partigiani, amici diventati nemici, famiglie lacerate da scelte impossibili. A Cabiaglio arrivano spie, camicie nere, tedeschi; i giovani vengono chiamati alle armi dalla Repubblica di Salò; nel silenzio delle montagne si nascondono partigiani, ebrei in fuga, prigionieri alleati. C’è paura, ma anche un’umanità testarda che resiste: donne che proteggono, sacerdoti che aiutano, uomini che rischiano la vita per salvare gli altri. Il titolo racchiude il senso più profondo del romanzo: “il pane non può aspettare” perché la vita non si può fermare nemmeno davanti alla guerra. Continuare a impastare, scaldare il forno, nutrire la comunità diventa per Innocenta e Aristide un atto politico e morale. Il pane, simbolo di sopravvivenza, è anche un gesto di speranza, un modo per opporsi alla disumanità. Intorno ai due protagonisti si muove un coro di personaggi vivi e autentici: la “banda del fischio”, gruppo di ragazzi cresciuti insieme e poi divisi dalla guerra; il postino Isidoro Fochi, che porta le notizie dal fronte con la delicatezza di chi sa che ogni lettera può cambiare una vita; Appiano Salvini ed Ernestino Cattaneo, antifascisti che aiutano gli ebrei a passare il confine; e persino Vincenzo, ex amico diventato camicia nera, che pur restando fedele al regime non riesce a dimenticare la sua umanità, salvando un amico d’infanzia dalla fucilazione. Pier Vittorio Buffa mescola documentazione storica e memoria familiare con una scrittura sobria, limpida, profondamente umana. Non indulge nella retorica della Resistenza, ma restituisce la realtà quotidiana di chi ha vissuto quegli anni tra paura e dignità. Ogni gesto, ogni parola, ogni profumo diventa un frammento di verità: le descrizioni del forno, la neve sulle montagne, le mani infarinate di Innocenta, le cartoline dal fronte che portano dolore e silenzio. La forza del romanzo sta nella sua coralità: un paese intero che diventa metafora dell’Italia di allora e, in fondo, di ogni comunità chiamata a scegliere tra indifferenza e responsabilità. Buffa ci mostra che la Resistenza non è fatta solo di armi, ma anche di gesti quotidiani, di parole semplici, di persone che non si arrendono. Il pane non può aspettare è un romanzo che parla di guerra ma soprattutto di vita, di solidarietà, di umanità condivisa. Ci ricorda che il coraggio può abitare in una madre che continua a impastare, in un ragazzo che decide di restare, in una comunità che non smette di credere nel bene. E ci lascia un messaggio che vale ancora oggi: “Il pane non può aspettare, perché la vita non può aspettare.”

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Pier Vittorio Buffa ha lavorato per quarant’anni come giornalista nel Gruppo Editoriale L’Espresso. Fra i suoi libri di non fiction: Al di là di quelle mura (Rizzoli 1984), viaggio inchiesta nelle carceri italiane, scritto con Franco Giustolisi; Mara Renato e io. Storia dei fondatori delle BR (Mondadori 1988), scritto con Franco Giustolisi e Alberto Franceschini; Io ho visto (Nutrimenti 2013), storie dei sopravvissuti alle stragi nazifasciste, portato in teatro da Pamela Villoresi, e Non volevo morire così. Santo Stefano e Ventotene. Storie di ergastolo e di confino (Nutrimenti 2017), con prefazione di Emma Bonino. Ha esordito nella narrativa con Ufficialmente dispersi (Marsilio 1995). Il suo ultimo romanzo è La Casa dell’uva fragola (Piemme 2023).

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