Recensione: Qui siamo tutti colpevoli, di Karin Slaughter

Titolo:
Qui siamo tutti colpevoli
Autore: Karin Slaughter
Editore: HarperCollins Italia
Pagine: 528
Anno di pubblicazione: 2025
Prezzo copertina: 19,50 €

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Recensione a cura di Luigi Pizzi

Qui siamo tutti colpevoli è un thriller intenso che comincia con una sparizione, ma si sviluppa come una storia di colpe personali e comunitarie. Nella cittadina di North Falls, durante la notte dei fuochi d’artificio del 4 luglio, spariscono due adolescenti, Madison Dalrymple e Cheyenne Baker. L’evento scuote la città, che credeva di controllare ogni segreto, e richiama l’attenzione dell’ufficiale Emmy Clifton, che sente di dover riscattare un passato doloroso: non intervenne quando qualcuno le chiese aiuto per Madison, e ora sente che non può restare a guardare. Emmy si getta nelle indagini, ma scopre ben presto che nulla è semplice come sembra. Dietro le apparenze di North Falls si nascondono menzogne, segreti di famiglia e relazioni tossiche. Volti rispettabili, amici e figure di autorità nascondono fragilità e peccati che la sparizione delle ragazze mette in luce. Man mano che Emmy avanza, si confronta con la propria responsabilità, con il peso della memoria e con l’idea che tutti — in un modo o nell’altro — siano coinvolti, compresi quelli che sembravano innocenti.


La trama è costruita con maestria: i colpi di scena arrivano uno dopo l’altro, ma non appaiono forzati. Si attraversano tre periodi narrativi: l’innesco della sparizione, un salto avanti di dodici anni e un epilogo che scioglie — solo in parte — i nodi costruiti. Questo salto temporale svolge un ruolo cruciale: rimedia alla lentezza in alcuni momenti centrali e apre il panorama narrativo a una resa di conti più grande. I personaggi sono ben delineati. Emmy è piena di contraddizioni: ambiziosa, traumatizzata eppure determinata a cercare la verità. Non è un’eroina perfetta, ma una donna con rimpianti che si obbliga a correre contro il tempo. Altri protagonisti, come Jude Archer, un’ex psicologa dell’FBI che arriva a North Falls per aiutare, portano con sé segreti e scelte ambigue che complicano il quadro investigativo. Il contributo di questi personaggi introduce una tensione supplementare: non si sa bene chi sia alleato, chi ostacolo, e le lealtà cambiano in corso d’opera. Lo stile di Slaughter è riconoscibile: ritmo deciso, scene d’azione alternate a momenti più riflessivi, una forte componente emotiva che non sacrifica il mistero. Certe sezioni — quelle sulle tracce digitali, i telefoni, i tabulati — possono rallentare il ritmo, ma servono a dare realismo al procedimento investigativo e a mostrare quanto sia complesso districarsi nei segreti di una comunità. La città stessa, North Falls, diventa un “personaggio”: le strade, gli isolati, l’intimità soffocante di chi “conosce tutti” contribuiscono a creare un ambiente claustrofobico, dove la fiducia è sempre sospesa e le apparenze ingannano. 


Tra i temi centrali emergono: la colpa che non si può cancellare, il silenzio che protegge più del crimine visibile, il legame tra adulti e giovani che spesso ignoriamo, la copertura reciproca nei rapporti sociali e la difficoltà di capire davvero chi abbiamo accanto. Anche la memoria gioca un ruolo forte: il passato non resta chiuso, e le azioni non scoperte prima tornano a bussare. Alla fine, non è detto che chi credevamo vittima sia tale, né che i carnefici siano solo quelli che abbiamo in testa. In conclusione, Qui siamo tutti colpevoli è un thriller coinvolgente e doloroso. Riesce a mescolare la tensione del caso criminale con il peso emotivo delle azioni non fatte. Non è un libro facile — il tema è duro, le contraddizioni si accumulano — ma è un’opera che rimane dentro. Leggerlo significa accettare che la colpa non è solo di chi ha commesso un gesto orribile, ma anche di chi ha scelto di non guardare.

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